Il 16 ottobre 1866 scoppiò il Colera ad Agropoli. Nei giorni successivi le strade di Agropoli erano deserte, affumicate per i frequenti suffumigi ed abluzioni di incenso e piante aromatiche, pratiche ritenute allora, idonee per allontanare il morbo. Il cordone Sanitario si estendeva fino al fiume Testene. Da un argine all’altro del Testene era stato creato un corridoio umanitario per il passaggio di derrate alimentari, medicinali, abbigliamento e coperte, frutto della solidarietà delle popolazioni Cilentane.
Ma gli Agropolesi erano rassegnati. Intuivano che il Colera era una piaga inesorabile da sconfiggere solo con l’intervento Divino. Ed ecco che Don Aniello Scotti, indossato il paramento sacro, percorreva le strette e silenziose viuzze del Borgo, pregando e benedicendo. Gli Agropolesi, tremanti e timorosi, chiusi nelle proprie abitazioni, pregavano ed invocavano un Miracolo dai Santi Patroni Pietro e Paolo e dalla Madonna di Costantinopoli. Il 16 novembre, dopo un mese, improvvisamente scomparve il Colera. Fatalità? Miracolo?
Il dottore Carmine Rossi per il coraggio e l’abnegazione mostrati verso i suoi concittadini, fu elogiato in una lettera inviata dal Sindaco di Agropoli al Sottoprefetto di Vallo della Lucania. In essa, fu esaltata la figura del dottore Carmine Rossi, che rimase ad Agropoli da solo nei giorni del Colera, facendola più da infermiere che da medico, mentre la sua famiglia fu pressoché interamente distrutta. In quel disastroso mese di Colera, a combattere una solitaria ed impari lotta, oltre al dottore Carmine Rossi e al Parroco Aniello Scotti, si prodigarono l’agente di Sanità Marittima G. Quaranta e i Regi Carabinieri di Agropoli e di Torchiara.