Agropoli, dopo 700 anni ritrovata una parte dell’antico e ricco pavimento della Chiesa di San Francesco d’Assisi

Continua l'opera di recupero di reperti dell'antico Convento voluto dal Santo nel lontano 1222.

Di Ernesto Apicella

Dopo la scoperta della pietra tombale della nobildonna Masella Prignano, datata 1450 d.C., ho il piacere di presentarvi un altro reperto archeologico, ad oggi il più antico,  proveniente dall’antico pavimento in “stile cosmatesco”, databile XIII- XIV secolo, presente nella Chiesa del Convento di San Francesco d’Assisi.

Le prime notizie ci giungono dal libro “La Leggenda di San Francesco in Agropoli” del Prof. Nicola Forlenza, pubblicato nel 1926. Descrivendo i ruderi della chiesa, il professore scriveva:

“(…) C’era quasi afa in quell’aria di pace <Eh, qui è il mio amore e tutto il mio dolore, Eccellenza!>. Proruppe il vecchio con accento mesto, facendosi avanti, più svelto, su di un piccolo piano lastricato. <Era la sagrestia! e questo è il pavimento; e sotto, un altro lastrico, e poi un altro… Guardi!>. A brevi scaglioni si vedono infatti chiare vestigia di tre pavimenti lastricati, l’uno sull’altro sovrapposti.(…)”.
Quindi nella sagrestia, ai primi del 1900, si intravedevano tre pavimenti sovrapposti. Purtroppo nel 1974, per edificare la nuova chiesa, i ruderi del XIII secolo furono rimossi, senza essere analizzati e, forse, utilizzati per realizzare la piazzetta antistante il tempio.

E’ probabile che il reperto ritrovato appartenga al secondo pavimento, giacché il primo sarà stato certamente in lastrame di pietra o in laterizio.      Nel XIII secolo il Convento, grazie alle donazioni dei ricchi signori del circondario, divenne sempre più importante, per cui la chiesa, anche ultima dimora di nobili famiglie, fu arricchita con la posa del prezioso pavimento in “stile cosmatesco”.

I Cosmati

“I veri Cosmati sono i Doctissimi Magistri Marmorari Romani che operarono in Roma e nel territorio del Patrimonio di San Pietro, spingendosi forse anche oltre, la cui famiglia iniziò con Tebaldo Marmoraro. Egli iniziò la sua opera nei primi decenni dell’anno Mille ed i suoi discendenti operarono fin verso la metà del XIII secolo.

– Nicola Severino da: cosmati.wordpress.com. -”.

A rigore, quindi, si dovrebbe parlare di opere cosmatesche solo relativamente a quelle realizzate da questa famiglia. La loro fama e maestria nel campo dei mosaici sono state tali che oggi si parla di “stile cosmatesco”, per indicare lo stile e le tecniche utilizzate da questi maestri e dai loro imitatori. Essi erano specializzati in lavori in marmo di prevalente carattere scultoreo-decorativo, nonché architettonico. L’attività dei Cosmati era assimilabile a quella di scultori-decoratori, che allestivano pavimenti e arredi liturgici, dove i motivi cosmateschi erano prevalenti.

Il censimento di sessanta nomi di artisti romani impegnati in opere cosmatesche e la conseguente ricostruzione critica delle famiglie di appartenenza, hanno portato a constatare la simultanea attività di cinque o sei botteghe nell’arco di due secoli. Tra le prime opere realizzate il pavimento nell’abbaziale di Montecassino al tempo dell’abate Desiderio (1066-1071). In quegli anni, grazie alla nuova disponibilità di risorse economiche che il papato volle destinare all’edificazione e al restauro delle chiese, a Roma si ebbe un’intensa e originale fioritura di fabbriche religiose, all’interno delle quali emersero le pavimentazioni ispirate al nascente gusto cosmatesco.

Tali pavimenti si presentano con una struttura impostata su uno schema assiale che costituisce un percorso longitudinale privilegiato, talvolta intersecato ortogonalmente da un asse secondario in forma di croce, all’origine del quale è la funzione liturgica di guida alle processioni papali nelle chiese stazionali. Uno schema risultante dalla sequenza ordinata di dischi colorati fiancheggiati da partizioni rettangolari di disegno più minuto, che richiamano modelli romani classici, mai del tutto caduti in disuso nell’Alto Medioevo.


Un esempio, per fortuna ancora intatto, di pavimento “stile cosmatesco” lo troviamo a Salerno, nella Cattedrale primaziale metropolitana di Santa Maria degli Angeli, San Matteo e San Gregorio VII. I mosaici del pavimento, opera di celebri maestri Cosmati, rappresentano nella loro unitarietà, nelle loro cospicue dimensioni e per qualità artistica, una straordinaria testimonianza di “stile cosmatesco”.

Un altro esempio lo troviamo a Capaccio, all’interno del Santuario della Madonna del Granato. La chiesa, a croce latina e con tre navate, custodisce un pregevole pulpito in marmo del ‘200 ed il pavimento del Presbiterio, entrambi realizzati in “stile cosmatesco”.

La ricerca storico-religiosa

Dopo il ritrovamento della pietra tombale della nobildonna Masella Prignano (XV secolo), chiesi all’ing. Aldo Della Pepa, proprietario insieme alla moglie Dott.ssa Rosetta Di Buono del Resort San Francesco,

se fossero emersi reperti durante i lavori di ristrutturazione dell’ex Convento. L’ingegnere mi indicò nella hall del Resort, un pezzo di mosaico (cm.20 x cm.20) riutilizzato, da chissà chi negli anni precedenti, per consolidare la parete. Scattai delle foto e subito iniziai la mia ricerca storica. Al termine della ricerca, ho ipotizzato che il reperto di “stile cosmatesco” provenga da uno dei tre pavimenti presenti nella chiesa, come documentato dal professore Nicola Forlenza nel suo libro.

Conclusione raggiunta in base:

-luogo dov’è stato riutilizzato il mosaico, cioè nell’ex convento;

-ritrovamento della lapide del  XV secolo appartenente ad una ricca famiglia cilentana presente nella chiesa;

-testimonianze riportate da vari documenti storici che ci raccontano la ricchezza del Convento di San Francesco.

Quindi il reperto ritrovato ci narra che nella chiesa esisteva un ricco pavimento di “stile cosmatesco”, probabilmente realizzato nel XIV secolo. Purtroppo non conosciamo le dimensioni del pavimento e neanche se si collegava all’allestimento di un mobilio liturgico che forse comprendeva l’altare, sopraelevato su una piattaforma, il ciborio e la cattedra, disposti entro una recinzione presbiteriale.

Il passo successivo è stato quello di chiedere ai proprietari del Resort San Francesco, Dott.ssa Rosetta Di Buono ed Ing. Aldo Della Pepa, di donare il reperto storico-archeologico e quindi farlo ritornare nella chiesa. Ovviamente si sono resi disponibili. Don Carlo Pisani, titolare della Parrocchia dei Santi Patroni Pietro e Paolo, appassionato studioso di storia locale, messo al corrente della scoperta, ha dato piena disponibilità per creare nella chiesa uno spazio storico-religioso da dedicare all’importante reperto cosmatesco. A questo punto, non resta altro che riportare il mosaico nella nostra chiesa di San Francesco d’Assisi, luogo dov’era stato messo in posa 700 anni fa circa.

Ricerca storica di Ernesto Apicella, 23 Novembre 2019
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