“Ci sono voluti tanti anni, ma per la prima volta ho sentito un po’ di umanità in questa storia che ancora mi sembra assurda”. Così Grazia Serra, nipote di Franco Mastrogiovanni dopo il mea culpa di Nicola Oricchio. Nella lettera scritta alla famiglia Mastrogiovanni l’infermiere che ebbe in cura il maestro e condannato insieme a sei medici e ad altri dieci colleghi, nel chiedere scusa fa riferimento anche a Grazia , “quale esempio di donna combattiva e tenace”.
Grazia era una giovane studentessa universitaria quando dieci anni fa si è trovata dinanzi alla tragica morte di zio Franco. Ha trascorso anni che dovevano essere spensierati e gioiosi nelle aule dei tribunali a chiedere verità e giustizia. Insieme a lei mamma Caterina, sorella di Franco, papà Vincenzo e poi i tanti familiari e membri del Comitato verità e giustizia per Franco.
“Ho incontrato l’infermiere Oricchio oggi in pensione – racconta Grazia – Nei suoi occhi ho visto tormento e pentimento. Noi non abbiamo mai avuto uno spirito vendicativo, volevamo che la morte di mio zio servisse per evitarne altre. Volevamo restituirgli la dignità che gli era stata tolta”. La giovane Serra va oltre e aggiunge: “Non è stato facile incontrarlo e ascoltare il racconto di quelle ore e non riesco a descrivere a parole quello che ho provato. Mi è sembrato sincero, ora mi aspetterei le scuse anche degli altri. Le scuse di chi in questi anni ha provato a negare l’evidenza in modo vergognoso. Farebbe bene soprattutto alla loro coscienza perché mio zio ormai è morto e il dolore di questi anni non si potrà mai cancellare”.
Al fianco di Grazia, Giuseppe Galzerano del Comitato: “Certo, Nicola Oricchio avrebbe potuto farsi interrogare in tribunale e ammettere le lacerazioni del suo animo e del suo cuore. Oggi, noi, ne prendiamo atto, ma non possiamo e non dobbiamo, dimenticare cosa è successo in quei quattro terribili giorni del 2009 e anche dopo la morte di un innocente, che non meritava assolutamente di essere trattato in quel modo”.
Sulla stessa linea Giuseppe Tarallo sempre del Comitato “ora – dice – ci troviamo con una condanna risibile che di fatto è stato un ‘liberi tutti’ che farà sentire altri autorizzati a continuare ancora a contenere e a far morire altre persone. Sarebbe successo se come nel caso Cucchi i responsabili fossero stati condannati a 12 anni? E l’Asl che aveva iniziato una indagine interna e poi l’ha sospesa in attesa della sentenza, perché non l’ha ripresa dopo la sentenza definitiva di condanna sia pure lieve?”. Tarallo ribadisce “Per ora abbiamo avuto solo il pentimento e il tormento di uno solo degli infermieri, mentre tutti gli altri, pur condannati e comunque liberi e al lavoro solo silenzio e niente scuse, e così l’Asl, così la Regione, lo Stato”.