Convegno di esperti a Paestum: “Metà degli adolescenti italiani ha carenza di vitamina D”

Troppo tempo trascorso in casa e poco all'aria aperta: è dall'esposizione al sole che arriva l'apporto fondamentale per sviluppo osseo e muscolare

Di Comunicato Stampa

Più della metà dei bambini italiani, con meno di 16 anni, soffre di carenza di vitamina D. In particolare i più esposti ai rischi per la salute, dovuti a questa insufficienza, risultano gli adolescenti. Colpa dello stile di vita troppo «indoor»: troppo tempo trascorso al chiuso, mentre è dall’esposizione al sole che dipende oltre il 90 per cento dell’assorbimento della vitamina. «Infatti oltre un terzo dei teenager passa almeno due ore al giorno a giocare a videogiochi o a computer e quasi la metà guarda troppa televisione – ammonisce Paolo Biasci, presidente nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) in occasione del suo congresso scientifico in corso a Paestum -. Assumere una dose adeguata di vitamina D è fondamentale per lo sviluppo corretto della massa ossea e di quella muscolare. Inoltre è fondamentale perché aiuta a rafforzare il sistema immunitario e contribuisce così a difendere l’organismo dalle infezioni. Come pediatri di famiglia siamo preoccupati dal grande numero di giovanissimi italiani che soffrono di ipovitaminosi D. Il fabbisogno giornaliero di vitamina D3 viene assicurato da una corretta e adeguata esposizione solare e quindi consigliamo vivamente a tutti i giovani di passare parte del loro tempo libero all’aperto, magari praticando un po’ di sport o attività fisica».

«La dieta gioca un ruolo trascurabile nella carenza di vitamina D – aggiunge Mattia Doria, segretario alle attività scientifiche della FIMP -. Il latte e più in generale gli alimenti, anche se fortificati con vitamine, non rappresentano una modalità ottimale per la prevenzione dell’ipovitaminosi nel bambino e nell’adolescente. Può essere quindi utile ricorrere a integratori, ne esistono di sicuri ed efficaci, ma devono essere assunti solo su indicazione e consiglio del pediatra di famiglia anche in termini di posologia corretta». Al congresso di Paestum un’intera sessione è dedicata anche alle vitamine del complesso B. «Hanno un ruolo importantissimo per compensare le carenze da diete di esclusione collegate ad allergie o intolleranze alimentari – prosegue Doria -. Questi problemi di salute sono in forte crescita e adesso interessano più dell’8 per cento dei bambini italiani e i deficit sono più frequenti nei bambini che fanno uso di diete di esclusione o sbilanciate. Per questo serve particolare cura nelle famiglie che scelgono per sé e i propri figli uno stile alimentare a base vegetale, soprattutto se totalmente privo di proteine di origine animale. In questi casi l’utilizzo dell’integrazione con vitamine del complesso B e della vitamina B12 è obbligatorio».

Molti altri temi sono al centro del Congresso Nazionale della FIMP, che e vede la partecipazione di oltre mille pediatri di famiglia da tutta la Penisola: la malnutrizione infantile (che in Italia, come negli altri Paesi sviluppati, determina sovrappeso o obesità), i problemi legati al neuro-sviluppo, l’assistenza al sempre crescente numero di pazienti cronici (circa il 10% dei bambini e adolescenti), la possibilità di svolgere le vaccinazioni nello studio del pediatra di famiglia e il trattamento delle patologie respiratorie e dermatologiche (tra le più diffuse gli under 18 italiani). «Lavoriamo nel settore della medicina territoriale e sperimentiamo tutti i giorni il rapporto di fiducia con gli oltre 9,8 milioni di bambini e adolescenti residenti nel nostro Paese e le loro famiglie – conclude Biasci -. Questo costituisce la base, e il supporto imprescindibile, per svolgere al meglio il nostro lavoro. Abbiamo una specificità assistenziale che deve essere sempre più valorizzata. Interagiamo tutti i giorni con le famiglie e vogliamo essere messi nelle condizioni di poter continuare a garantire questa straordinaria assistenza che rappresenta una peculiarità del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Una delle priorità deve essere lo sviluppo di una diagnostica di primo livello in tutti gli studi dei pediatri di famiglia. Per farlo servono nuove risorse da investire nella medicina del territorio».

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