Antibiotico-resistenza. Come possiamo fare la nostra parte?

La rubrica medica

Di Danilo Malandrino

Recenti studi condotti a livello europeo e mondiale riportano come l’antibiotico-resistenza sia divenuto un prioritario problema di salute pubblica (alert Organizzazione Mondiale della Sanità) a cui sono attribuibili, nel solo 2015 all’interno dei paesi dell’Unione Europea, circa 33.110 decessi, un terzo dei quali verificatisi nella nostra Nazione. L’Italia è infatti il primo paese europeo per utilizzo di antibiotici (fonte EMA), con tassi allarmanti di resistenza all’antibioticoterapia. Inoltre, secondo i dati presentati da AIFA nel 2018, la Campania è la regione con il maggior consumo di antibiotici ogni 1000 abitanti, seguita da Puglia, Calabria e Abruzzo.

L’aumento delle resistenze, favorito dal consumo inappropriato degli antibiotici in ambito ospedaliero, sul territorio e in ambito veterinario, può essere contrastato attraverso un approccio che promuova interventi per l’uso responsabile dell’antibioticoterapia sia a livello degli operatori sanitari che a livello di popolazione.

Come invertire allora questa tendenza? Un ottimo inizio è rappresentato dalla conoscenza delle più frequenti situazioni di consumo e di errata prescrizione antibiotica revisionate alla luce delle più recenti conoscenze scientifiche.

  1. Batteri nelle urine in assenza di sintomi.
    Probabilmente la situazione più frequente di prescrizione errata. Come dimostrato ampiamente nel corso di studi condotti negli anni recenti, il trattamento con cicli (spesso ripetuti) di antibiotico sul riscontro casuale di batteriuria (presenza di batteri nelle urine) agli esami di routine, in donne asintomatiche, è non indicato e spesso controproducente (potendo favorire la comparsa di specie batteriche resistenti). La gravidanza sembra rappresentare un caso a parte dove, nonostante le opinioni discordi dei pochi studi clinici effettuati, sembra ci possa essere un vantaggio nel prevenire il rischio di eventuale propagazione a distanza di eventuali patogeni (Es. pielonefrite).
  1. Otite esterna e otite media acuta (OMA). Tra le patologie più frequenti in età pediatrica: oltre il 60% dei bambini al di sotto dei 3 anni di vita presenta almeno un episodio e circa il 24% dei bambini ha almeno 3 episodi. Per questo assume fondamentale importanza l’appropriatezza della terapia antibiotica. Obiettivo è distinguere bambini che necessitino di trattamento antibiotico immediato da quelli in cui sia effettuabile una vigile attesa (strategia che prevede di osservare l’andamento clinico del bambino con OMA durante le prime 48-72 ore, trattando esclusivamente i sintomi, senza intraprendere una terapia antibiotica). La vigile attesa è da considerare quando si diagnostica un’otite media acuta in un bambino sopra i due anni, con OMA monolaterale lieve, monolaterale grave e bilaterale lieve. Un recente studio italiano ha evidenziato come l’implementazione delle più recenti linee guida di gestione di tale patologia in un Pronto Soccorso Pediatrico abbia comportato una riduzione dell’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro dal 53,2% al 32,4%, in assenza di un aumento di casi sfavorevoli.

 

  1. Diarrea e vomito.
    Nella maggior parte dei casi questo tipo di disturbi ha un decorso benigno che tende a risolversi in un paio di giorni, sostenuto in circa il 70% dei casi da gastroenteriti virali per le quali è dunque inappropriata la terapia antibiotica. Caso a parte, in cui la terapia antibiotica sembra essere adeguata, è rappresentato dalla diarrea del viaggiatore (sindrome clinica associata ad acque e cibo contaminati che si verifica durante o subito dopo un viaggio) spesso correlata a eziologia batterica (Salmonella, Campylobacter, E. coli).
  1. Infezioni delle alte vie respiratorie.
    Rinite, sindrome influenzale, faringotonsillite. I grandi classici. Nonostante si stimi che l’80% di queste manifestazioni sia sostenuto da virus, gran parte delle prescrizioni viene ancora effettuato per questo tipo di sintomi. È risaputo come l’antibiotico non apporti alcun vantaggio né nel controllo dei sintomi, né nella durata della malattia, non prevenendo inoltre successive infezioni batteriche. In uno studio recente di popolazione condotto in Polonia, volto a indagare l’efficacia delle campagne di sensibilizzazione al problema dell’antibiotico-resistenza, è emerso come la maggior parte delle persone intervistate abbia assunto nell’ultimo anno antibiotici all’insorgenza dei suddetti sintomi, ritenendo tale terapia efficace anche contro i virus, oltre che verso i batteri (oltre il 60 % delle persone intervistate).
  1. Profilassi antibiotica per procedure odontoiatriche.
    Circa 1 prescrizione su 10 viene effettuata in previsione di procedure odontoiatriche. È infatti noto come interventi a livello della cavità orale (in cui sono ospitate centinaia di specie batteriche) possono dare luogo a batteriemie transitorie (un’invasione da parte dei microbi del torrente circolatorio) che, nelle persone immunodepresse o con particolari profili di rischio, può coinvolgere organi a distanza come il cuore (Es. endocardite). Tuttavia, una recente articolo apparso quest’anno sulla prestigiosa rivista JAMA evidenzia come l’80% delle profilassi odontoiatriche eseguite dal 2011 al 2015 negli Stati Uniti fosse non supportata dalle indicazioni sostenute dalle più recenti linee guida americane ed europee, per le quali l’antibiotico deve essere somministrato solo in previsione di interventi particolarmente a rischio (estrazioni dentali, manipolazione della gengiva o della regione periapicale, perforazione della mucosa orale) e in selezionate popolazioni suscettibili (persone con malformazioni cardiache congenite, patologie valvolari impianti protesici valvolari, pregressa endocardite). Fondamentale dunque un’attenta valutazione congiunta del rischio da parte di medici e odontoiatri.
  1. Un errore frequente: la durata della terapia.
    Un cardine della terapia antibiotica: non interrompere precocemente il ciclo di antibiotico prescritto, poiché cicli più brevi possono rendere inefficace la terapia e favorire l’insorgenza di specie batteriche resistenti. Questo dogma è stato recentemente messo in discussione in un lavoro pubblicato nel 2017 sul prestigioso British Medical Journal, dove alcuni esperti infettivologi del Regno Unito sostenevano che sospendere il farmaco già all’iniziale miglioramento clinico, potesse essere altrettanto efficace e meno dannoso in termini di resistenze rispetto al ciclo convenzionale. La comunità scientifica è insorta, affermando la precocità di tali conclusioni sulla base di pochi studi, seppur molto validi a livello metodologico. Ad oggi infatti, viene ribadita la necessità di completare l’intero ciclo prescritto, poiché il miglioramento dei sintomi non equivale sempre alla guarigione dall’infezione.
  1. Tornando a noi. E la Campania?
    Alla luce di questo allarmante scenario internazionale e, attenta alla delicata situazione regionale, la Campania si è dotata dal 2010 di un sistema regionale di sorveglianza dell’antibiotico-resistenza attuando dal 2014 un piano regionale indirizzato a tutte le Aziende del Sistema Sanitario Regionale per contrastare questo preoccupante fenomeno. Tra le varie attività intraprese (per una gestione razionale, etica e controllata dell’antibioticoterapia, definita antimicrobial stewardship dagli anglosassoni), sono state emanate Linee di indirizzo sulla terapia antibiotica empirica, iniziati corsi di formazione aperti a tutti i professionisti della Sanità campana e avviate campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini incentrate sull’uso prudente degli antibiotici. Sebbene gli sforzi siano appena iniziati, nel quadriennio 2014-2017 è stata osservata un’iniziale diminuzione delle percentuali di antibiotico-resistenza di alcuni dei batteri più temuti all’interno delle corsie ospedaliere (K. pneumoniae, E. coli e S. aureus), lasciando presagire uno scenario comunque preoccupante, ma potenzialmente contrastabile con uno sforzo congiunto tra sistema sanitario, politica e popolazione.
Condividi questo articolo
Exit mobile version