Il Tribunale di Vallo della Lucania ha rigettato la domanda di rivendica della proprietà della strada “Via Crucis”, avanzata dall’Ente Diocesi di Vallo della Lucania e dal Santuario Maria SS. del Sacro Monte di Novi contro il Comune di Novi Velia, rappresentato e difeso dall’Avvocato Valerio Rizzo.
La vicenda ha inizio nel 2003 quando la Diocesi vallese ed il Santuario del Sacro Monte, tramite il proprio Rettore, avviarono un procedimento giudiziario conto il Comune di Novi Velia per vendicare la proprietà esclusiva della strada che, sulla sommità del Monte Gelbison, conduce all’area del Santuario di Maria S.S. del Sacro Monte, consistente nella cosiddetta”Via Crucis”.
In particolare sull’area veniva vantato un usucapione per possesso ultratrentennale. Secondo la tesi dei due enti ecclesiastici, con atto pubblico del 23.9.1323, l’allora feudatario del luoghi, Conte Marzano, donò l’area del Santuario “cum omnibus iuribus et pertinentiis suis” (dunque anche con l’area in cui attualmente sorge la cd. “Via Crucis”) ai monaci Celestini, nella cui disponibilità restò fino all’abolizione dell’ordine monastico (avvenuta nel Regno di Napoli con la legge del 13 febbraio 1807) e la conseguente acquisizione del Santuario al Demanio della Corona. Inoltre proprio un contestuale Decreto dell’allora Re di Napoli, Giuseppe Bonaparte (Decreto regio del 12.5.1807), avrebbe costituito il titolo in forza del quale il Santuario e le relative pertinenze furono affidate dal Re al Vescovo di Capaccio-Vallo, con conseguente ampio ed assoluto dominio di quest’ultimo sulla res. Il Tribunale di Vallo della Lucania, tuttavia, non ha ritenuto condivisibili tali argomentazioni.
La decisione si è basata su precedent procedimenti risalenti addirittura a due secoldi fa, come spiega l’avvocato del Comune di Novi Velia, Valerio Rizzo. Risale ad inizio ‘800 il Decreto regio del 12.5.1807 che già vide contrapposti il Vescovo della Diocesi di Capaccio-Vallo ed il Municipio di Novi Velia, cui prese parte anche il Municipio di Vallo Lucano.
Tale controversia è documentata da due distinte sentenze rese dalla allora competente Corte di Appello di Napoli, una del 16.6.1876 ed una del 1.3.1880.
“Dal corpo della prima sentenza si ricava che la lite fu promossa in primo grado dinanzi al Tribunale civile di Vallo Lucano l’8 giugno 1872 dall’allora Vescovo di Capaccio-Vallo, il quale aveva giudizialmente chiesto di essere riconosciuto quale legittimo ed esclusivo amministratore del Santuario e di condannarsi il Municipio di Novi all’immediato rilascio del possesso del Santuario stesso, proprio in forza del Decreto del 12.5.1807 dell’allora Re di Napoli e di Sicilia, Giuseppe Bonaparte – spiega l’avvocato Rizzo – Tanto premesso, a parere del Tribunale “dal solo contenuto della domanda giudiziale proposta dall’allora Vescovo di Capaccio-Vallo, si può chiaramente evincere che, nell’anno 1872 (data di inizio della citata controversia), il Municipio di Novi si trovava nel possesso del predetto Santuario: se infatti così non fosse, non avrebbe avuto senso una domanda di rilascio avanzata proprio dal predetto Vescovo.
Con la sentenza del 16.6.1876, poi, la Corte di Appello di Napoli rigettò le domande avanzate dal Vescovo di Capaccio-Vallo, riformando integralmente la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Vallo Lucano il 7.6.1875, che aveva accolto la domanda giudiziale proposta dal Vescovo.
Successivamente, la questione fu riesaminata da diversa sezione della Corte di appello di Napoli – adita in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dall’allora Corte di Cassazione di Napoli – la quale, con la sentenza del 1.3.1880 e reinterpretando il citato Decreto regio del 1807, accolse parzialmente la domanda del Vescovo, disponendo che a questi spettava esclusivamente la cura e direzione del Santuario, nonché “l’amministrazione delle oblazioni che in detto Santuario si raccolgono”, ad eccezione del “sopravanzo” annuo di tali oblazioni (destinato ad essere amministrato dal Comune di Novi Velia per “l’uso di maritaggi”)”. Ebbene secondo il Tribunale vallese la sentenza del 1.3.1880 non riconobbe alcuna forma di proprietà del Vescovo sul Santuario e sulle relative pertinenze, attribuendogli piuttosto una forma di detenzione qualificata. Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto carente la prova del diritto di proprietà anche con riferimento a fatti di più recente verificazione.
“Per tutte queste ragioni – conclude l’avvocato Rizzo – il Tribunale non ha ritenuto convincenti le argomentazioni proposte da parte attrice a sostegno della propria tesi con riguardo al possesso utile all’usucapione maturato nella seconda metà del XX sec., rigettando così la domanda di rivendica della proprietà della strada “Via Crucis” avanzata della Diocesi di Vallo della Lucania e del Santuario Maria SS. del Sacro Monte di Novi contro il Comune di Novi Velia.