Riti e Storia del Cilento: la tradizione del Venerdì Santo

Le “Congreghe” simbolo identitario delle comunità cilentane

Di Emma Mutalipassi

La realtà che oggi viviamo durante le funzioni della giornata del venerdì santo nel Cilento ha origini antichissime. Ai tempi della riforma protestante, il cattolicesimo era in pericolo, tra eresie e persecuzioni la fede conobbe un periodo titubante e questo, in una società che ruotava intorno ai dogmi e alla sicurezze del cattolicesimo, ebbe un effetto disgregante. Non solo religiosa, ma anche politica. La costituzione delle confraternite fece da argine a tutta la disordinata frenesia.

Dopo Lutero e le sue novantacinque tesi (1517 d.C.), furono proprio le confraternite a mediare, in quel periodo, fra gli ecclesiastici e chi con quel mondo non voleva più averci a che fare. In seguito, con la rivoluzione francese, con l’avvento della religione della scienza e della bella ragione contro il buio della superstizione, scomparirono in gran parte. Si riabilitarono, senza però ritornare al loro antico splendore e alla loro mistica influenza, nel periodo successivo, quello della Restaurazione (1815 d.C.). Con il crepuscolo del secolo scorso, e con l’affermazione sempre più convinta del materialismo anche fin dentro la sacra dimensione dei sentimenti, e con il consolidarsi inoltre dei suoi nuovi dèi e dei suoi nuovi ruoli, i contorni delle confraternite sfumarono, perdendo sostanza e rilievo.

A oggi, le confraternite rimangono uno degli esempi più palpitanti e suggestivi del folclore cilentano, soprattutto quando le loro anime di gruppo riescono, purtroppo sempre più di rado, a riconnettersi col senso di misticismo, che le animava e le faceva splendere nell’ armonia anche in passato. Le confraternite sono nate anche come reazione all’ isolamento di cui il mondo rurale, a causa della sua pesantezza e della sua arretratezza. La coralità, nelle confraternite, divenne anche il rito dell’unione contro il campanilismo contadino tratto dominante del territorio. Nei paesi dell’antico Cilento, prezioso e profondo è il rituale del Venerdì Santo, eseguito dalle confraternite; rituale in cui vanno a confluire insieme il senso del pellegrinaggio dell’anima, e quello dell’emblema sacro (la visita agli altari della reposizione).

Con interesse si possono osservare le divise, leggere le insegne, ascoltare i canti, gustare la funzione religiosa. La divisa, oltre dal camice e dal cappuccio bianchi, è formata da un cingolo (leggasi ‘’cordone’’), e una mantellina. Quando quest’ultime sono rosse, sono dedicate al Corpo di Cristo o al Rosario; azzurre, alla Madonna venerata sotto vari titoli; marroni, alla Madonna del Carmine; nere, al Monte dei Morti. I canti seguono la tradizione cilentana del canto “a distesa”, sono formati da quattro distici (sequenza di due versi legati da rima, assonanza o altro) endecasillabi, ai quali sono frapposte una o più riprese. La melodia del distico è sempre la stessa; e l’esecuzione è polivocale, con una voce alta e due, o più, basse. I motivi dei canti rappresentano un tratto distintivo di appartenenza non solo alla comunità da cui si proviene ,ma spesso varia anche da famiglia a famiglia. “Le confraternite, infatti, rappresentano un particolare modo di “sentire il paese”, afferma Amedeo La Greca, in quanto si considerano le depositarie della sua anima, campioni della sua dignità e custodi della tradizione.

(Fonti: Amedeo la Greca, Maurizio Agamennone)

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