AGROPOLI. Accusa l’ex convivente di truffa e falso materiale in atto pubblico. Protagonista una donna del posto ma nativa di Napoli. Il caso risale a quasi un decennio fa. La vittima denunciò di aver subito da parte dell’uomo con cui aveva una relazione “artifizi e raggiri consistiti nel simulare di provare amore nei confronti della stessa, con la quale intratteneva un rapporto sentimentale, nonché nel mostrare due false sentenze (una di separazione e l’altra di divorzio) riferite ad un suo precedente matrimonio con una donna di Agropoli, nel prometterle di sposarla e nel farle organizzare a sue spese in ben tre occasioni la festa di nozze presso un Hotel di Paestum, fingendo di occuparsi della cerimonia secondo il rito civile presso il Castello Aragonese di Agropoli ed adducendo prima delle date di fissazione del matrimonio cause di inderogabili rinvii quali la morte del fratello e della moglie, così inducendo in errore la querelante con la quale conviveva e procurandosi l’ingiusto profitto costituito da piccoli prestiti, regalie e spese di mantenimento con pari danno della persona offesa oltre a quello costituito dalle spese per la preparazione dei matrimoni». I reati contestati risulterebbero consumati fino al mese di novembre 2011. L’uomo venne ritenuto colpevole in primo grado, ma la Corte d’Appello, nel dicembre del 2017, lo ha assolto. La donna avverso quest’ultima sentenza, si è però rivolta alla Cassazione. I giudici lo scorso 5 marzo hanno però rigettato il ricorso.
La decisione dei giudici
Si legge nella sentenza: «Tutta la problematica circa la configurabilità del reato di truffa ruota intorno alla determinazione del “se” vi sia stata una eventuale menzogna dell’imputato circa un trasporto sentimentale nei confronti della persona offesa e, soprattutto, del nesso causale tra inganno e conseguente patrimoniali cioè del “se” e del “quando” l’eventuale menzogna sentimentale si sia trasformata in un concreto artifizio e raggiro finalizzato all’ottenimento di un profitto poi conseguito, essendo pacifico che gli artifizi e raggiri per configurare il delitto di truffa debbono cronologicamente precedere il conseguimento del profitto con danno della persona offesa».
«In tale ottica è evidente che, sotto il primo profilo, in assenza di elementi che possano dimostrare il contrario non risulta possibile affermare una menzogna “sentimentale” dell’imputato. Quanto al secondo profilo si tratta di una questione di fatto che la Corte di appello nella sentenza che in questa sede ci occupa, nel ribaltare la decisione del Giudice di prima cura, anche se con motivazione assai sintetica, risulta aver adeguatamente risolto laddove ha affermato il non ritenuto conseguimento di prova certa riguardante il nesso causale tra la condotta dell’imputato ed i benefici da questo ottenuti nella prosecuzione del rapporto con la persona offesa, sostanzialmente chiarendo da un lato che non vi sono elementi per ritenere con certezza che le prestazioni di valore economico a favore dell’imputato (peraltro tipiche di un rapporto durato nel tempo) siano derivate dall’inganno di questi e non dall’affetto, durato quindici anni, che la donna provava nei confronti del convivente e dall’altro che le prestazioni economiche erogate all’imputato siano legate a vicende della vita effettivamente verificatesi e non all’inganno da questi posto in essere».
Di qui la decisione di respingere il ricorso; per la donna anche la condanna al pagamento delle spese.