La posidonia spiaggiata può essere una risorsa. E’ quanto in sintesi sostengono gli Operatori Turistici Agropolesi, che hanno proposto una loro soluzione per risolvere il problema degli accumuli sul litorale. “Quando eravamo bambini le alghe per noi agropolesi erano normali, anzi le banquettes venivano utilizzate come materassini sui quali tuffarci a giocare. Ma sapevamo che un giorno c’erano, il giorno dopo (per evidente effetto dell’idrodinamismo) non le avremmo trovate più, le mareggiate e la libertà di rimozione delle stesse, non essendoci una normativa così severa come oggi, avrebbero liberato gran parte del tratto costiero. Oggi la Posidonia spiaggiata viene vissuta come un problema”, ricorda Loredana Laureana dell’Aota.
A livello comunitario le praterie di Posidonia sono classificate “habitat prioritario di conservazione” dalla Direttiva 92/43/CEE (“Direttiva Habitat”) recepita in Italia con il DPR 357/97. Sono salvaguardate dal “Protocollo per le Aree Specialmente Protette e la Biodiversità in Mediterraneo (ASPIM)” firmato nell’ambito della Convenzione di Barcellona, “Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento” del 1995. In Italia, la norma di riferimento per la gestione delle biomasse marine spiaggiate è il D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 che identifica i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle spiagge come Rifiuti Solidi Urbani.
“Tutta questa normativa, seppur vissuta da noi con disagio – spiega Loredana Laureana – in effetti è servita a salvaguardare la Posidonia, la quale è una pianta endemica del Mediterraneo e la sua conservazione è molto importante”. Essa, infatti, è indice di trasparenza delle acque; offre a numerosi organismi marini protezione e riparo dai predatori; rappresenta un’area di riproduzione per molte specie animali ed un’area di nursery per gli stadi giovanili, le larve, o gli avannotti di numerose specie animali; costituisce una vera e propria area di pascolo per molte specie di pesci, crostacei, molluschi cefalopodi, echinodermi; è in grado di produrre enormi quantità di ossigeno; evidenzia un’elevata produttività primaria, ovvero la capacità di produrre materia organica mediante fotosintesi; rappresenta una barriera vegetale che favorisce la sedimentazione delle particelle in sospensione nella colonna d’acqua; le foglie di posidonia rappresentano una sorta di barriera che riduce notevolmente l’idrodinamismo e la forza delle onde. Questo effetto di barriera protegge il litorale dall’erosione e contribuisce a stabilizzare il profilo della linea di costa. A partire dai mesi autunnali, inoltre, le foglie morte, che si distaccano dalla pianta e vengono trasportate a riva, si accumulano sui litorali, formando le cosiddette “banquettes”. Anch’esse contribuiscono a proteggere le spiagge dall’erosione.
Allora come valorizzare la posidonia? Secondo la presidente dell’Aota “In primis, si potrebbe valorizzare la presenza della Posidonia con dei cartelli, sulle spiagge interessate, che spieghino ai fruitori delle spiagge (cittadini e turisti) la valenza di questa presenza”. Resta la necessità di rimuovere i residui spiaggiati per esigenze turistico-balneari, per incompatibilità con i normali utilizzi del tratto di costa o per l’insorgenza di problemi di carattere igienico-sanitario (fenomeni di putrefazione), non è possibile mantenere in loco le banquettes.
In questi casi, la normativa italiana fornisce diverse possibilità e in alcune regioni d’Italia hanno attuato progetti compatibili con le disposizioni di legge: “Esiste un progetto, P.R.I.M.E. (“Posidonia Residues Integrated Management for Eco-sustainability”), finanziato dalla comunità europea realizzatosi in Puglia, in alcune aree dichiarate SIC (Sito di Importanza Comunitaria) dal ministero dell’ambiente – spiega Laureana – Il progetto ha avuto l’obiettivo di definire un sistema integrato di gestione dei residui spiaggiati di posidonia finalizzato a valutare aspetti legati all’ecosistema marino e al potenziale riutilizzo per uso agricolo dei residui spiaggiati di posidonia. Con il progetto, inoltre, sono state individuate alcune modalità di recupero dei residui di posidonia spiaggiata e di utilizzazione del materiale organico per la produzione di compost da utilizzare come ammendante dei suoli agricoli e/o come substrato di coltivazione per l’ortoflorovivaismo. Pertanto il progetto ha preso in considerazione le diverse potenzialità connesse alla protezione e valorizzazione dei residui di posidonia, attraverso l’individuazione di un sistema di gestione della stessa che consenta di coniugare l’esigenza di tutela con la possibilità del loro riutilizzo nel settore agricolo e florovivaistico, garantendo il recupero di un materiale considerato “rifiuto” e la sua trasformazione in risorsa. Il progetto ha dato vita ad un software per le amministrazioni, ha formato dei tecnici in grado di valutare le diverse situazioni ed elaborare il piano di smaltimento più adatto alle esigenze della comunità senza tralasciare la conservazione e l’impatto ambientale”. Un secondo progetto segnalato dagli operatori turistici agropolesi arriva dalla Sicilia. “Dal 2016 nell’antico borgo marinaro di Marzamemi, nel Siracusano, dieci aziende vitivinicole e ortofrutticole utilizzano la pianta acquatica come concime. Secondo il responsabile tecnico della sperimentazione, l’agronomo Sebastiano Barone: la posidonia contiene una sostanza che migliora la struttura del terreno, che in questa zona è sabbioso, serve a trattenere più acqua e questo aiuta le piante. E poi è piena di sostanze minerali ottime soprattutto per la monocultura di pomodori”.
Ecco perché la presidente dell’Aota, Loredana Laureana, lancia il suo appello alle amministrazioni locali affinché “si faccia rete per questo problema, che si sensibilizzi l’assessore alla regione Campania e il presidente del Parco del Cilento affinché si autorizzino progetti sperimentali che possano permettere il riutilizzo della posidonia come concime nel settore dell’agricoltura o per altri impieghi che possano permetterne lo smaltimento ecologico quando non è possibile mantenerle in loco”.
“In altre regioni come Puglia, Liguria, Sicilia, Abruzzo e nella provincia di Livorno, infatti, esistono normative regionali e provinciali che sopperiscono alla “fragilità” della normativa nazionale sul problema dello smaltimento – conclude – Perché non prendere spunto da queste realtà per creare un’unica e univoca azione sulla costa cilentana?”