Mercoledì 30 gennaio verrà presentato a Salerno il progetto della Soprintendenza “Le monete di Elea-Velia” finanziato con 100.000 da enti privati e proposto con il beneficio fiscale dell’ArtBonus, ossia quello strumento che fa maturare un credito di imposta pari al 65% di quanto donato. Il progetto prevede il censimento, il restauro e la schedatura dei reperti monetali rinvenuti e, in seguito a tali operazioni, lo studio delle monete prodotte dalla città a partire dalla fine del III a.C. fino alla tarda Repubblica. Nello specifico il progetto prevede:
- Restauro di 3040 monete;
- Analisi archeometriche e spettrometria di massa finalizzate alla conoscenza delle leghe costitutive dei reperti numismatici utili sia a per gli interventi conservativi ma anche per provare a determinare i giacimenti di approvvigionamento dei metalli;
- Catalogazione e schedatura di reperti monetali significativi con allegata documentazione fotografica finalizzata alla tutela e alla conoscenza del patrimonio numismatico del sito di Elea-Velia con possibili risvolti per la valorizzazione dei reperti monetali.
Tale iniziativa è lodevole perché, in tempo di magra, punta ad attingere a risorse finanziare da canali diversi rispetto a quelli ordinari ed è, ad oggi, l’unico progetto dell’Area del Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni, tra quelli avanzati con l’ArtBonus, ad aver raggiunto gli obiettivi di finanziamento previsti: centomila euro. Nell’Area Parco sono pochissime le progettualità proposte con il beneficio fiscale dell’Art Bonus e, oltre a questa di Velia, sono tutte a Paestum: vi è un progetto che punta alla realizzazione di un innovativo sistema di monitoraggio del Tempio di Nettuno, un altro per il restauro del Tempio di Atena ed infine l’iniziativa Adotta un blocco delle mura. L’ArtBonus ci consente qualche riflessione: a livello nazionale, da quando questa misura fiscale è stata varata nel 2014, abbiamo superato i 300 milioni di erogazioni raccolte, circa 1500 beneficiari, 1800 interventi ed oltre 9400 mecenati; in Campania vi sono stati 60 progetti proposti di cui pochissimi, come abbiamo visto, nell’Area Parco. Poche le iniziative poste all’attenzione della generosità di donatori quando poi, invece, voce corrente vuole che sia la mancanza di risorse ad impedire di fare le cose. E’ positivo che degli enti si siano mossi cercando canali alternativi di finanziamento, ma questa possibilità di intercettare risorse non è ad appannaggio esclusivo delle Soprintendenze. La domanda è immediata: dov’è il resto del territorio? L’ArtBonus fa testimonianza della debolezza strutturale del territorio, dell’assenza di governance delle risorse culturali nonché della loro assenza da qualsivoglia circuito generativo di valore. Eppure, al di fuori di tutto ciò che possa essere di competenza gestoria del MiBAC, non mancano di certo nel nostro territorio beni che necessitano di interventi (palazzi nei centri storici, cappelle, giardini,quadri, organi, etc.) così come altre opportunità da poter coltivare (allestire una biblioteca anziché un centro espositivo o puntare al di recupero archivi comunali etc.). Sul punto ebbe a dire il compianto Prof. Stefano Rodotà come “i beni culturali non hanno una voce propria ma hanno quella di chi parla per loro” e ciò che mi viene da considerare è come il nostro problema consista proprio nel fatto che non ci sia chi parli per le nostre risorse culturali, non c’è chi si fa interprete e propugnatore delle istanze delle risorse culturali. Non che manchino persone attente, sensibili e attive per il patrimonio culturale, ma che spesso queste attenzioni non abbiano struttura e organizzazione tali da poter incidere significativamente sulla vita della risorsa culturale. Uno degli obiettivi dell’ArtBonus è proprio quello di andare oltre il fundraising quale semplice raccolta fondi ma accompagnare questa raccolta ad una più proficua e pregnante friendraising quale raccolta di amici, di simpatie, di sostenitori, di assunzioni di responsabilità. L’obiettivo dell’ArtBonus è proprio quello di far emergere nuove sensibilità e nuovi livelli di responsabilità attorno alle risorse culturali superando forme classiche e antiquate di sponsorship, asettiche e unidirezionali poiché avulse dal contesto con il quale non intessono relazioni significative. Quando invece la donazione, è sia un modo di riconoscere valore ma anche una forma riappropriativa che eleva il bene culturale a patrimonio collettivo.
Per chi volesse approfondire l’argomento segnalo questo contributo a pag. 54 dell’ultimo numero de Territori della Cultura in cui rifletto su una maggiore centralità dell’Ordine dei Commercialisti così come stanno già facendo a Napoli (clicca qui).