Spartaco: dalle Gole di Tremonti alla strage del Fiume Sele

Dove si svolse realmente l'ultima battaglia?

Di Vincenzo D'Andrea

Come tutti quelli degli uomini leggendari che hanno scritto le cruciali pagine della storia, il nome di Spartaco è rimasto indelebile nel libro del tempo. Dopo una vita trascorsa con le armi in pugno, la morte di questo ex ausiliario dell’esercito romano prima e gladiatore dopo, a distanza di secoli è ancora avvolta nel mistero. Dove è stato ucciso realmente quest’uomo che alla guida di settantamila uomini per ben tre anni dal 73 al 71 a.C. non fece dormire certamente sonni tranquilli ai senatori di Roma? Sappiamo per certo che negli ultimi mesi contrariamente alle prime sottovalutazioni, Roma alquanto preoccupata dinanzi alle sue vittorie iniziò a considerarlo una seria minaccia paragonandolo quasi ad Annibale, l’abile condottiero cartaginese che 143 anni prima nella piana di Canne in Puglia il 2 agosto del 216 a.C. inflisse all’esercito romano una delle più disastrose sconfitte della sua storia militare. Di quest’uomo, originario della Tracia (Sandanski 109 a.C. odierna Bulgaria) una regione storica dell’estrema punta sudorientale della penisola balcanica, sappiamo che si arruolò nelle truppe romane di stanza in quei luoghi. La sua indole ribelle con il tempo si scontrò con le ferree regole della disciplina militare, tant’è che a seguito di una sua insubordinazione agli ordini, disertò e dopo essere stato arrestato e spedito in Italia, fu destinato a combattere fino alla fine dei suoi giorni in un’arena come gladiatore. Proprio dalla caserma della scuola gladiatoria di Capua, di Lentulo Batiato, per sua mano ebbe inizio la terza guerra servile contro Roma. Con un gruppo di compagni riuscì ad evadere dalla palestra, conseguendo i primi successi, come la battaglia del Vesuvio, dovuti invero, alla scarsa preparazione degli uomini mandatigli contro per catturarlo. Infatti, nei primi tempi successivi alla sua fuga, i manipoli romani erano composti da uomini reclutati nei villaggi non particolarmente addestrati all’uso delle armi e inesperti a qualsiasi tattica militare. Al contrario, Spartaco si rivelò un abile stratega, forte della sua esperienza nei ranghi militari romani, in cui apprese le tattiche di guerra, conoscendone anche i punti deboli. Si deve considerare inoltre anche la sua abilità nell’uso delle armi essendo addestrato insieme ai suoi compagni a combattere come gladiatore. Fu questa per Spartaco l’arma vincente, che gli consentì di vincere molte battaglie anche se, invero, non riuscì ad imporre ai suoi uomini la tecnica di combattimento tipica delle legioni di Roma.

MA QUALE FU IL LUOGO PRECISO DELL’ULTIMA BATTAGLIA CHE INFRANSE IL SOGNO DI LIBERTA’ DI SETTANTAMILA SCHIAVI? DOVE E’ MORTO REALMENTE SPARTACO? HA COMBATTUTO REALMENTE L’ULTIMA BATTAGLIA? OPPURE SAREBBE RIUSCITO IN QUALCHE MODO A FUGGIRE?

Premettendo che non abbiamo certezze assolute su quanto stiamo per spiegare, possiamo certamente affermare che nessuna fonte storica indica il punto preciso dello scontro finale, se non le memorie degli storici di allora come Plutarco, Strabone, Sallustio, Appiano e Oronzio che citano il fiume Sele e la Lucania quale teatro dello scontro finale che in quell’epoca comprendeva quasi tutta la Basilicata (esclusa la zona Nord del Vulture), la zona N/E del fiume Bradano (Matera) e il Cilento e Vallo di Diano (S/E Campania) fino ad arrivare al fiume Lao in Calabria S/O. Plutarco pone l’ultima battaglia presso i monti di Petelia (forse odierna Petilia, Policastro in Calabria1, mentre Orosio individua il luogo nei pressi delle sorgenti del Sele (ad caput Siylaris flumis) presso Caposele, Quaglietta Calabritto e Oliveto Citra (luoghi della Lucania antica in cui ci sono stati ritrovamenti di armature, corazze e spade di epoca romana). Volendo fare una breve analisi in base agli elementi sopra riportati iniziamo con l’ipotizzare che: 1) E’ probabile che Spartaco in ritirata dall’Aspromonte, per motivi tattici abbia voluto smembrare il suo seguito in vari reparti, per poi riunirlo prima dello scontro finale. Gli uomini ormai stanchi, demoralizzati, ormai consapevoli dell’imminente disfatta marciavano reduci da una sanguinosa sortita: difatti in una notte buia e tempestosa riuscirono, nonostante ingenti perdite a forzare lo sbarramento fortificato romano ordinato dal proconsole Marco Licinio Crasso inviato da Roma impedirgli la fuga verso nord. Nei pressi dell’istmo di Catanzaro, infatti, fu eretto un sistema di trincee e fortificazioni che menava dalla costa ionica a quella tirrenica lungo ben 55 Km.) 2.

IL RAPPORTO CON I SUOI UOMINI.

Se le prime battaglie vittoriose avevano galvanizzato le frange più estremiste dell’esercito spartakista che premevano addirittura di attaccare Roma, ora il precipitare degli eventi causavano una spaccatura in seno ai comandanti ribelli, che contemplavano altre strategie di lotta. In tutti i casi Spartaco si sarebbe sempre imposto valutando bene le sue mosse. Attaccare Roma sarebbe stato un atto irrealizzabile, come era impossibile poter continuare la fuga all’infinito con un seguito di migliaia di combattenti che dovevano ogni giorno sopravvivere nascondendosi, difendersi e nello stesso tempo sfamarsi. E’ possibile dunque che qualche reparto abbia deciso di combattere o fuggire per conto proprio non riconoscendolo più come capo. Dopo essere fuggito dalla Calabria Spartaco progettò la fuga oltre l’Adriatico dirigendosi a Brindisi, (dopo il precedente tentativo fallito di raggiungere la Sicilia a causa del tradimento inaspettato dei pirati cilizi che si erano offerti di aiutarlo). Venuto a conoscenza però della presenza in quel porto dell’arrivo di altre truppe romane provenienti dalla Macedonia, sarebbe stato obbligato a ripiegare verso la Lucania, attraversando il Vallo di Diano e raggiungendo probabilmente gli altopiani di Serre e dell’Alto Calore. Ancora oggi vi sono località sul Fiume Calore, che ricordano il suo nome, come ad esempio Castelcivita, con il Ponte di Spartaco, e le suggestive grotte, in cui la tradizione popolare tramanda che i ribelli spartachisti abbiano trovato ricovero, ed infine le Gole di Tremonti in tenimento del Comune di Giungano, fra Capaccio e Trentinara, nelle cui gole si sarebbero accampati altri reparti. E’ difficilmente ipotizzabile dunque che Spartaco, da buon stratega, abbia deciso di scoprirsi proseguendo sprovvedutamente, la marcia con un seguito esausto, abbandonando quei territori che gli offrivano l’unica e valida possibilità di difesa, in cui nessuna legione romana avrebbe osato avventurarsi. D’altro canto avrebbe dovuto guadare il Sele mentre da Nord, (e ne era al corrente) iniziavano a confluire provenienti dall’Hispania le avanguardie Romane al comando di Gneo Pompeo Magno.

L’ARRIVO DELLE LEGIONI DI GNEO POMPEO.

Proprio in territorio di Altavilla (presumibilmente nei pressi di Borgo Carilla) ipotizziamo che i genieri romani abbiano allestito un ponte galleggiante su un tratto del Sele, affinchè i reparti militari l’avessero attraversato agiatamente con i viveri, gli stallaggi, gli armamenti e quant’altro necessita per gli accampamenti provvisori, gli assedi e i combattimenti a medio e lungo termine2. E qui entra in gioco un altro fattore importante a favore delle truppe romane:

LA TECNICA DI COMBATTIMENTO.

Quello romano nei secoli è stato un modello di esercito fra i più invincibili e formidabili della storia che grazie a elaborate tecniche di difesa, avanzamento, attacco e accerchiamento del nemico usciva quasi sempre vittorioso sul campo nonostante nonostante a volte si trovasse in inferiorità numerica.

Queste strategie militari necessitavano di due fattori importanti: si preferiva di non affrontare il nemico su di alture o dislivelli di particolare rilevanza o in presenza di ostacoli. Non a caso Marco Licinio Crasso, da buon stratega, in Calabria, territorio aspro e montuoso, per non cadere vittima delle tecniche di guerriglia dei ribelli, si astenne da qualsiasi attacco o inseguimento, profferendo tattiche logoranti di assedio e di blocchi, al contrario di inutili manovre militari fallimentari che portarono alla disfatta i suoi predecessori. Vogliamo ricordare, per dovere di cronaca, tre delle più umilianti battaglie perse dai Romani: una nelle gole del Sannio contro i Sanniti (321 a.C.), la battaglia di Canne in Puglia contro Annibale. Qui nel 216 a.C., fu determinante la bravura tattica del generale cartaginese che, si narra, avrebbe schierato il suo esercito a favore di vento che quel giorno avrebbe soffiato impetuoso proiettando la polvere negli occhi dei romani, praticando poi un’inaspettata morsa a tenaglia che si rivelò mortale per loro. “I Romani, finchè poterono combattere, volgendosi da tutti i lati contro quelli che li avevano accerchiati, resistettero; ma trovandosi sempre più rinchiusi in uno stretto spazio vennero massacrati. Mentre la cavalleria inseguiva e uccideva la maggior parte dei cavalieri nemici. Pochi scamparono e tra questi il maggior responsabile della disfatta, il console Caio Terenzio Varrone3. Infine il tragico agguato nella foresta di Teutoburgo in Germania (9 d.C). dove la colonna romana guidata da Publio Quintilio Varo, composta da 15/18mila uomini fra militari e civili si avventurò sprovvedutamente in una fitta selva angusta e paludosa al transito, per poi cadere in un’imboscata mortale dei Germani capeggiati da Arminio che la decimò fino all’ultimo uomo. Scontri fatali per le divisioni di Roma, combattuti in luoghi non proprio consoni alle loro tecniche di attacco e di difesa. In virtù di questo ragionamento non sarebbe credibile l’ipotesi che Pompeo e Crasso fossero talmente ingenui ed inesperti da lanciare le loro truppe all’assalto in luoghi impervi, esponendole a probabili imboscate con gravi ed inutili perdite, come appunto le Gole di Tremonti o i territori rocciosi dell’alto Calore e dell’alto Sele. Quindi considerata la geografia del territorio e l’ordinamento dello scacchiere dei due eserciti in campo, l’unico luogo dove verosimilmente si sarebbe scatenata l’ultima battaglia di Spartaco resta la Piana del Sele in particolar modo i tenimenti di Altavilla Silentina ed Eboli. Ad avvalorare il territorio di Altavilla Silentina quale teatro del campo di battaglia vi è il ritrovamento di frammenti di armature, corazze riconducibili proprio all’epoca degli eventi che stiamo narrando4. Spartaco era ormai consapevole che prima o poi la resa dei conti sarebbe giunta trovandosi a combattere, al contrario delle prime battaglie, contro militari veterani esperti nell’uso delle armi e preparati finanche a quelle operazioni di guerriglia che fino ad allora gli avevano consentito di riportare importanti vittorie. Inseguito dal meridione dalle legioni di Crasso, atteso da quelle di Gneo Pompeo Magno a Nord e da Est da cui avanzavano quelle provenienti dalla Puglia, fu una mossa obbligata uscire dai nascondigli montani per poi scendere nella pianura del Sele. Siamo giunti ormai nell’ Aprile del 71 a.C.: possiamo immaginare la scena: gli ultimi eroi di un sogno ormai prossimo a svanire trascorrono le loro ultime ore consumando il loro ultimo pasto, riposando e controllando le armi per poi radunarsi intorno al loro capo ad ascoltare quello che sarà l’ultimo discorso. Poi la lenta discesa verso il luogo dello scontro finale, lo schieramento dei due eserciti e il successivo inizio del macello sulla sponda sinistra del Silaros. Appiano scrive che la carneficina fu di proporzioni tali da impedire la conta dei caduti. E’ ovvio che uno scontro che vede la contrapposizione tra circa 120mila Romani e 70mila ribelli si combatta in focolai accesi in un’area di svariati kmq e che coinvolga inevitabilmente anche altri tenimenti fino al limitare dell’alto Tanagro e le zone adiacenti le sorgenti del Sele in provincia di Avellino, dove gli ultimi superstiti della battaglia cercarono di trovare scampo nei valichi e gli anfratti montuosi, ma furono inseguiti e catturati, per poi essere torturati e crocifissi per ordine dello stesso Crasso, come monito contro future ed eventuali insurrezioni contro Roma: la via Appia accolse pietosamente l’agonia e gli ultimi respiri di seimila schiavi giustiziati in nome di un sogno svanito e di una libertà agognata e mai raggiunta.

LA MORTE DI SPARTACO.

Come abbiamo accennato il suo corpo non fu mai ritrovato e riconosciuto per la grande quantità di colpi di spada e di lancia che avrebbero dilaniato le sue carni durante la pugna mortale, tanto da sfigurarlo e renderlo irriconoscibile fra le migliaia di caduti sul campo. Resta comunque una minima possibilità che Spartaco in persona non abbia mai combattuto l’ultima battaglia nella piana del Sele: forse riuscì a fuggire o che sia stato ucciso in altre circostanze, pertanto le forze ribelli in campo potrebbero essere state reparti privi della sua guida, come quelli periti nella battaglia sul Gargano agli ordini di Crixus. Ma conoscendo il suo carattere deciso e leale possiamo dedurre che non abbia mai abbandonato il suo seguito al suo destino e che sia morto in battaglia. Lo storico Plutarco narra che prima di scontrarsi con Crasso, Spartaco abbia deciso di combattere appiedato uccidendo il suo cavallo in quanto avrebbe dichiarato che se avesse vinto ne avrebbe avuti quanti ne avesse voluto ma se avesse perso non sarebbe caduto in tentazione di fuggire.5 . Nei prossimi articoli cercheremo di descrivere altri elementi utili per ricostruire tutte le fasi dell’ultima battaglia che seppur tramandata e ricordata, rimane comunque avvolta da un alone di molti interrogativi e di incognite. “Terminata è la semina, ora è giunto il tempo della mietitura. Cinquantamila morti coprono il campo di battaglia più felici dei seimila crocifissi lungo la via di Capua”.6

Fonti:
1: Plutarco – Vite parallele Crasso – cap.11,4
2: Ipotesi dello scrivente
3 Polibio Historiae, III,113-116
4 Spartaco: Marco Funno – Le cicatrici di una grande guerra ad Altavilla Silentina https://salerno.italiani.it/morte-spartaco-altavilla-silen…/
5 Plutarco – Vite Parallele Crasso – Cap. 11-6
6: Enrico Galavotti – Storia Romana/La rivolta di Spartacohttp://www.homolaicus.com/storia/antica/roma/spartaco.htm/
Foto: Vincenzo D’Andrea: La Piana del Sele vista da Serre, Statua di Spartacus, Le gole di Tremonti (Giungano), l’ingresso delle grotte e il ponte di Spartaco (Castelcivita)

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