Ritardi nelle indagini sull’omicidio Vassallo? Il figlio Antonio: siano chiarite le colpe

"Ho la certezza di persone che sulla morte di mio padre non hanno mai detto la verità"

Di Carmela Santi

Omertà, silenzio e ritardi. Le parole di Franco Roberti sull’omicidio Vassallo (leggi qui) risuonano forti sulla comunità cilentana. In molti preferiscono il silenzio, commentano in privato le dichiarazioni choc dell’ex procuratore nazionale antimafia e anticamorra. Non si nascondono invece i familiari del «sindaco pescatore». Omertà? Va oltre Antonio Vassallo, figlio di Angelo. Insieme alla madre Angelina e alla sorella, da otto anni attende di sapere chi e perché ha ucciso Angelo, sindaco di Pollica ma prima di tutto padre e marito.

Certezza di persone che non hanno mai detto la verità

«Ho la certezza – dice Antonio – di persone che sulla morte di mio padre non hanno mai detto la verità, e continuano a mentire. Bisognerebbe capire perché. La verità è che tantissima gente arriva in chiesa nel giorno dell’anniversario della morte di mio padre, e molti versano lacrime di coccodrillo, magari sono le stesse persone che davanti agli inquirenti hanno nascosto la verità».

Bisognerebbe assegnare delle responsabilità a chi non ha lavorato bene

Antonio è amareggiato. Le parole di Roberti sulle indagini e sugli errori che sarebbero stati commessi nelle prime ore dopo l’omicidio confermano quello che per Vassallo junior è da tempo una certezza. «Sono sicuro – dice – che è stato perso tempo, però a questo punto bisognerebbe assegnare delle responsabilità a chi non ha lavorato bene. Probabilmente non c’entra nulla con le indagini o forse è stato perso tempo volontariamente. Non bisogna escludere nulla, l’ho imparato in questi anni proprio seguendo le indagini per mio padre».

Sono trascorsi troppi anni da quella drammatica notte del 5 settembre 2010, quando il corpo del sindaco fu ritrovato privo di vita a pochi passi dalla sua abitazione. «Inutile che mi vengano a raccontare che stanno lavorando, sento che sul caso non c’è più la stessa attenzione, non si stanno spendendo le stesse energie e mio padre questo non lo merita, sono molto dispiaciuto».

All’indomani del delitto si parlò subito degli interessi dei clan tra affari edilizi e droga in un paradiso come Pollica, un quadro oscuro che non mancò di trovare vasta eco a livello nazionale, laddove troppo spesso il Cilento non è distinto da Napoli, dalla Campania dove tutto è camorra. Le poche voci che dubitavano di questo scenario vennero zittite. Ora è Roberti ad affermare che la morte di Vassallo potrebbe non essere un fatto di camorra o di mafia. La verità per Roberti è che nei primi giorni dopo l’omicidio «si è perso tempo, sono stati degli errori territoriali, a livello di indagini si poteva fare di più. Quando abbiamo preso in mano noi il caso – ha ribadito – era troppo tardi». Le indagini inizialmente furono seguite dalla Procura della Repubblica di Vallo, poi passarono alla Direzione distrettuale antimafia di Salerno guidata proprio da Roberti. L’allora procuratore di Vallo, Alfredo Greco, tra i primi ad arrivare sul luogo del delitto, preferisce non commentare le frasi di Roberti. «Voglio mantenere – dice – il distacco, la correttezza e il silenzio che hanno sempre contraddistinto il mio lavoro». Non resta in silenzio invece Dario Vassallo. «Noi vogliamo la verità – scrive sui social – anche giuridica e non è certo quella del Consiglio Superiore della Magistratura o quella di un manipolo di carabinieri che mi hanno querelato cinque volte. La verità è quella del popolo». Poi, condivide una frase: «Per me l’omertà è sinonimo di complicità».

Ma le parole di Roberti potrebbero davvero smuovere le acque e orientare questa volta meglio le indagini, non a caccia di fantasmi ma di moventi concreti. L’ex procuratore antimafia ha chiarito che l’omicidio potrebbe essere collegato a qualche questione territoriale, anche ad un investimento locale non condiviso da Angelo Vassallo. Questa pista, unita alla decisione di un magistrato come Ingroia, che proprio in questi giorni ha annunciato di non volersi rassegnare all’ingiustizia e di voler investigare da solo sul caso, invitando chi sa a parlare con lui, potrebbero dare una svolta alle indagini.

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