I recenti sversamenti di liquami nei canali, provenienti da allevamenti bufalini, che poi sono finiti in mare ripropongono ancora una volta tutte le criticità di un modello economico che si regge sull’aggressione all’ambiente.
Si tratta di veri e propri “attentati” all’ambiente e all’economia del territorio. “Attentati” nei confronti soprattutto delle aziende agricole e bufaline che lavorano nel rispetto dell’ambiente e della legalità. “Concorrenza sleale” verso la comunità e l’imprenditoria locale sia dello stesso settore sia di quello turistico. Concetti, questi, espressi dal circolo Legambiente Paestum.
“Oltre all’indispensabile e ovvia azione di tutela della legalità e degli interessi generali della comunità, da parte delle autorità competenti, per cui è necessario non solo individuare i responsabili ma perseguirli applicando la nuova normativa sugli ecoreati prevista dalla legge 68/2015, occorre intensificare gli sforzi affinché agricoltura, turismo, allevatori interagiscano tra di loro creando un sistema territoriale sostenibile. La lotta agli eco criminali deve essere una delle priorità delle istituzioni pubbliche, così come delle organizzazioni sociali, economiche e politiche, dove ognuno deve fare la sua parte, responsabilmente”, fanno sapere gli ambientalisti.
“Le numerose eccellenze presenti nel territorio che con la loro capacità innovativa riescono ad offrire servizi e prodotti di qualità, sono la testimonianza che l’economia circolare e la sostenibilità ambientale sono ottime risposte per migliorare le proprie aziende e indicano la strada da percorrere”, evidenziano da Legambiente, lanciando quindi un appello: “Si riparta dalla terra, dalla campagna ridandole dignità, qualità e restituendole la bellezza perduta. Si creino sinergie tra i comparti produttivi. Si agevolino gli adeguamenti degli allevamenti. Si puniscano i responsabili”. “Bisogna agire in fretta, altrimenti cosa accadrà quando entrerà in vigore la nuova perimetrazione delle zone vulnerabili ai nitrati agricoli prevista dalla regione?”, è la domanda che si pongono gli attivisti.