Vallo della Lucania: morto di tumore dopo trapianto. La perizia conferma: male trasmesso da donatore

Protagonista un 63enne cilentano morto dopo trapianto di pancreas e reni

Di Carmela Santi

Morto di tumore dopo il trapianto di organi. Dalla perizia choc arriva la conferma: il male è stato trasmesso dal donatore suicida. Colpo di scena nell’indagine della Procura di Mantova sulla morte delle tre persone, tra cui il 63enne Giuseppe Pellegrino di Vallo della Lucania, uccise da tumore dopo il trapianto di organi (pancreas e reni) prelevati all’ospedale Carlo Poma da un solo donatore, morto suicida.

Per fare chiarezza sui tre misteriosi decessi avvenuti, a meno di un anno dal trapianto, a causa del medesimo carcinoma aggressivo, il gip Matteo Grimaldi aveva disposto una super perizia nell’ambito dell’incidente probatorio, nominando un pool di esperti di levatura internazionale (i professori Pierfranco Conte, Antonietta D’Errico e Claudio Rago) i quali hanno consegnato, nei giorni scorsi, i risultati del loro rapporto, le cui conclusioni sono decisamente scioccanti sotto il profilo medico-scientifico, anche se potrebbero di fatto scagionare tutti i 18 indagati, tra cui il primario, accusati di omicidio colposo. Pellegrino si era sottoposto a trapianto nell’ospedale mantovano. Nel fascicolo oltre al decesso del 63enne finiscono altri due casi sospetti. Inizialmente nel registro degli indagati era finito solo l’ex primario, che aveva gestito il coordinamento e la procedura di espianto. Ora gli indagati sono saliti a 18. Per tutti il pm ha espresso ipotesi di omicidio colposo.

Il calvario del 63enne, inizia nel 2005 quando inizia ad avere problemi ad un rene che lo costringono, gradualmente, alla dialisi. Nel 2008, il noto imprenditore, decide di tentare il trapianto. Dopo 4 anni arriva la tanto desiderata notizia: c’è un rene disponibile. Ma nel giugno del 2013, in occasione di una normale visita di controllo presso l’ospedale di Varese le sue condizioni si aggravano inspiegabilmente e, purtroppo non farà più ritorno nel suo Cilento. Morirà, infatti, un mese dopo. I familiari sporgono subito denuncia. Bastano i primi accertamenti per scoprire che il 63enne non era morto per una crisi di rigetto come inizialmente ipotizzato, ma a seguito di un tumore. Il rene era stato prelevato da un donatore morto suicida sparandosi alla testa. Come Pellegrino altri due pazienti, entrambi 50enni, uno di Milano, l’altro di Brescia che avevano ricevuto organi dal medesimo donatore muoiono a soli dodici mesi dal trapianto.

«La super perizia spiega l’avvocato Riccardo Ruocco che rappresenta le famiglie di due delle tre vittime ha appurato un possibile nesso di causalità tra il trapianto degli organi e i tre decessi, dimostrando così la fondatezza delle nostre preoccupazioni, ovvero che, con elevata probabilità, le morti sono state causate dagli organi malati trasferiti dal donatore ai riceventi. Diverso, invece, il discorso sulla responsabilità penale dei medici indagati, che secondo la perizia viene esclusa in quanto i protocolli medici sono stati rispettati: dunque, non era possibile appurare che gli organi del donatore suicida fossero infetti». Il 15 maggio si terrà l’udienza davanti al gip per l’esame dei periti, ma il legale cilentano avanza nuove ipotesi: «Il mio pensiero – dice – và in primis alle famiglie coinvolte perché finalmente è venuta fuori la verità, purtroppo non bella. Tutto ciò che, dopo le indagini difensive, materializzava i sospetti ai quali diverse procure italiane non davano peso, oggi è certezza: ad uccidere i tre pazienti non è stata una crisi di rigetto, ma un tumore trasmesso dagli organi infetti ricevuti dal medesimo donatore. La perizia depositata in questi giorni presso l’ufficio gip del tribunale di Mantova, tuttavia, se da un lato smentisce e ribalta le tesi di molti esperti che si erano pronunciati in senso contrario, dall’altro, escludendo responsabilità di rilevanza penale dei medici indagati, è destinata ad aprire una seria discussione, che coinvolgerà certamente il ministero della Salute».

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