Un anno fa il furto del Tesoro di San Pantaleone

Due parole col Capitano Malgieri ad un anno esatto dal furto nella cattedrale vallese e pochi giorni dopo le condanne per alcuni della banda rumena che realizzò il colpo sacrilego

Di Giuseppe Di Vietri

Due parole col Capitano Malgieri ad un anno esatto dal furto nella cattedrale vallese e pochi giorni dopo le condanne per alcuni della banda rumena che realizzò il colpo sacrilego

In genere gli articoli che riguardano ricorrenze, come quella del primo anno dal furto del Tesoro di San Pantaleone, si scrivono il giorno prima e si pubblicano in mattinata perché tendono ad annunciare la ricorrenza richiamandone il ricordo quasi fossero un appunto in agenda. Questo articolo lo si pubblica in serata perché è come se fosse invece una nota su un diario, posta a margine della giornata, quasi a resoconto di una personale celebrazione. Potremmo definirla una narrazione di una esperienza privata in un fatto collettivo. A questa poi, però, si accompagna anche una esperienza collettiva in un fatto privato poiché, oltre a ricorrere un anno dalla violenza subita dalla comunità vallese, ricorrono anche dieci anni dalla scomparsa di Fabio Maniscalco, napoletano, archeologo, docente, ufficiale dell’esercito, pioniere della tutela del patrimonio culturale in Italia e nelle aree di crisi che fu anche proposto per il premio Nobel per la Pace nel 2008, poco prima di morire per una rara forma di cancro al pancreas causata dall’esposizione a metalli pesanti e ad uranio impoverito durante le missioni di pace nella ex Jugoslavia. Da semplice volontario in ferma breve convinse i suoi superiori della necessità di monitoraggio e salvaguardia del patrimonio culturale della città di Sarajevo ove operavano, rendendo quello italiano il primo esercito al mondo ad applicare l’articolo 7 della Convenzione dell’Aja del 1954 che prescrive la necessità di “predisporre o istituire, sin dal tempo di pace, nell’ambito delle proprie forze armate, servizi o personale specializzati, aventi il compito di assicurare il rispetto dei beni culturali e di collaborare con le autorità civili incaricate della loro salvaguardia”. Un pioniere che si è adoperato nell’analisi di questo fenomeno criminale del traffico di beni culturali che attualmente vale 8 miliardi di dollari all’anno ed è al mondo secondo solo al traffico di armi e droga. Ed è proprio parlando di Fabio Maniscalco e delle archeomafie che ho iniziato oggi una lunga chiacchierata col Capitano dei Carabinieri Mennato Malgieri, autore con la Procura vallese delle indagini lampo che hanno portato all’arresto degli autori del furto degli ex voto nella cattedrale di Vallo della Lucania nel giro di appena tre settimane. Un evento, quello del furto di beni culturali nei luoghi di culto, che non è raro nelle nostre zone: basti ricordare il più recente furto di due icone sacre nella chiesa di San Francesco a Teggiano o quello di oro e preziosi nella chiesa di San Donato da Ripacandida sempre nel 2017, o  il furto della statua della Madonna delle Grazie nella chiesa di San Pietro a Polla (2015), o quello delle maioliche nel refettorio del convento di Santa Maria della Pietà a Vatolla (2013) o  ancora quello avvenuto a Ceraso nel 1997 in cui furono rubate tra le varie cose anche la preziosa corona di Maria e un pastorale di San Nicola poi fortunatamente recuperato e restituito, fino ad andare più indietro, al furto avvenuto nel ’90 a San Pietro al Tanagro di un quadro ritrovato recentemente in Sicilia. Un fenomeno non nuovo per il nostro territorio che nel corso dei decenni ha subito furti e spoliazioni di ogni tipo che spesso sono avvertite con molta intensità e coinvolgimento dalle comunità che le subiscono. Ed è stata proprio la percezione della violenza subita dalla comunità ad aver dato forte motivazione alla squadra di cinque uomini che con desiderio, volontà e sacrificio hanno inteso dare risposta ferma, immediata ed efficace. Potrebbero sembrare parole di circostanza, così come sarebbe potuto apparire quel “li prenderemo” pronunciato dal Capitano Malgieri il giorno del furto, ma a sentir come si sono svolte le operazioni si capisce che corrispondono al vero.

Torniamo all’anno scorso, sono le 3.40 del primo febbraio 2017 quando alla centrale arriva l’allarme anti intrusione seguito da una telefonata di Don Aniello Scavarelli. Nel giro di pochi minuti i carabinieri sono lì e trovano  una delle strade d’ingresso a piazza cattedrale bloccata da fioriere, la porta laterale della chiesa scardinata, la vetrinetta in frantumi e l’oro votivo scomparso. Le indagini iniziano subito prendendo visione delle immagini delle telecamere della cattedrale dove compaiono otto uomini che con vari ruoli hanno perpetrato il colpo, bloccando la strada, coprendo la telecamera con un panno bagnato, disinnescando violentemente l’allarme sonoro esterno e quello interno, frantumando con una mazza di ferro pesante parecchi chilogrammi la vetrinetta e bucando le ruote delle macchine presenti nella piazza. Un colpo velocissimo durato meno di sette minuti conclusosi con la fuga a piedi per le viuzze del centro storico fino ad arrivare alle autovetture lasciate sulla Circumvallazione all’altezza dell’Enoteca “Cin Cin”. Il fattore tempo è sempre determinante per le indagini e nonostante le telecamere comunali non fossero attive, la qual cosa avrebbe consentito una rapida individuazione dei profanatori, i Carabinieri non si sono persi d’animo e iniziano subito a controllare tutte le automobili che sono transitate per il Casello di Salerno dalle 4 alle 6; ad attirare la loro attenzione sono tre auto che circolano a distanza di pochissimi secondi in direzione nord: una Bmw con targa italiana intestata ad un pluripregiudicato seguita da una Lancia Thesis con targa rumena ed una Wolksvagen Passat con targa italiana ed intestata ad un cittadino romeno residente a Cluj. Iniziano quindi controlli sugli intestatari e i loro contatti, si procede alla verifica delle macchine in entrata dal medesimo casello e si vedono le tre auto transitarvi alle 00:48 ed si fanno controlli sulle targhe: le auto transitano dal confine di Trieste con la Slovenia. Intanto sono iniziate varie attività, tra cui quella di verifica di tutti i telefoni attivi a Vallo nelle ore del furto e ci si concentra sui titolari delle schede verificando se sono stati a Vallo nei giorni precedenti e grazie a questa intuizione si giungono ad analizzare le telecamere esterne della cattedrale che riprende due dei malviventi fare ultimi sopralluoghi prima del blitz. Le indagini seguono frenetiche e con una tempistica che nemmeno nei film si riscontra: si parte subito con le intercettazioni telefoniche utilizzando un conoscitore del dialetto parlato dalla banda. Gli intercettati contattano le famiglie e parlano di oro. A quel punto c’è assoluta certezza sugli autori del furto  e si attiva l’Interpol, l’Europol e la Diicot romena che in un regime di stretta collaborazione forniscono le immagini di una telecamera nascosta all’interno di un compro-oro di Cluj in cui si vedono alcuni dei malviventi provare a vendere la refurtiva ma senza che l’affare però si concluda.
Le indagini continuano senza sosta e, dalle intercettazione, si apprende che due di loro torneranno a breve a Cosenza, dove abitano; inizia un controllo su tutti gli aerei che atterrano in una certa prossimità e i malviventi vengono individuati su un volo diretto a Bari, da lì raggiungono Cosenza pedinati a loro insaputa e nei pressi della città calabrese vengono un fermo di controllo apparentemente casuale ma assolutamente voluto che in loro non desta alcun sospetto: durante quel controllo vengono trovati  tre anelli d’oro che verranno poi ricondotti tra quelli del Tesoro di San Pantaleone. Il 15 e il 16 di febbraio si preparano i mandati di arresto europei e il 21 si procede con il loro arresto congiunto. Intanto sul fronte rumeno le indagini sono continuate per individuare e recuperare l’oro rubato e per farlo poi rientrare in Italia e restituire alla comunità vallese. Parte è rientrato e restituito, parte no, probabilmente e purtroppo già fuso. Questa è una delle ferite più profonde poiché si denota come sia stato questo un furto volgare, un furto di bene culturale non per pregio del bene ma per il suo valore veniale.

Nonostante non tutto l’oro sia stato ritrovato bisogna sottolineare il gran lavoro degli inquirenti, un lavoro di molte settimane fatto con abnegazione in pochissime ore e in pochissimi giorni per dare una risposta ferma, immediata ed efficace ad una comunità a cui i Carabinieri hanno voluto far sentire la loro vicinanza e la loro concreta presenza, ben oltre il semplice spirito di servizio. La percezione della portata di questa violenza ha dato una spinta in più agli uomini che hanno partecipato alle indagini e sarebbe bello che tutti noi anche in “tempo di pace”, per così dire, facessimo di più per il nostro patrimonio culturale difendendolo in maniera più incisiva dalle varie minacce a cui è sottoposto.

A conclusione di questa chiacchierata, caro Diario, il Capitano mi ha fatto dono di un calendario dei Carabinieri, non uno classico ma quello del Gruppo d’Intervento Speciale. Il calendario non aveva la cordicella solita che è sempre presente; ma a questa mancanza non avevo badato attenzione fino a quando il Capitano non ne ha presa una di colore giallo e, nel mentre mi parlava di questo gruppo d’elite che quest’anno compie quaranta anni, la ha annodata al calendario. Due semplici nodi ma fatti con un gesto che aveva il sapore della ritualità militare e un che di solennità. Avrei voluto ricambiare con un omaggio e l’unica cosa realmente solenne che avrei potuto fare, e che poi ho fatto, è stata quella di fargli lasciare traccia di questo nostro incontro facendogli vergare due parole in calce ad un libro di Maniscalco che avevo con me “La tutela dei Beni culturali in Italia”. Conserverò da oggi con cura ancora maggiore questo libro poiché la tutela dei beni culturali non è altro che la cura verso le tracce che l’uomo lascia dietro di sé. E questo libro, caro Diario, da oggi ha una storia in più da raccontare.

 

 

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