Web e strumenti digitali proseguono nella loro rapida e inarrestabile evoluzione, imponendo piccole e grandi trasformazioni che spaziano dai modi di comunicare alla revisione di interi settori dell’economia, come quello della produzione industriale.
La capillare diffusione dell’accesso alla rete e dei device che consentono di mantenersi connessi 24 ore su 24, tuttavia, vede i suoi effetti più evidenti in un ambito di capitale importanza per le moderne società: quello dell’informazione.
Se il web è stato per anni sinonimo di informazione libera e accessibile a tutti, negli ultimi mesi è emerso in modo sempre più evidente che la fruizione di notizie online espone al pericolo di imbattersi in contenuti più o meno abilmente manipolati. Controverso anche il difficile rapporto tra redazioni giornalistiche di stampo tradizionale e nuove dinamiche dell’informazione digitale, che, in Italia come nel resto del mondo, ha visto molte testate piegate dall’esigenza di produrre grandi moli di contenuti, contando tuttavia su ricavi pubblicitari sempre più modesti.
È il Censis a fornire i numeri dello stato del mondo dell’informazione in Italia nel 2017: le persone che si informano sfogliando almeno una volta a settimana un quotidiano cartaceo ammontano solo al 35,8% della popolazione, una quota in calo di ben 5,7 punti percentuali rispetto a quella dell’anno precedente. I numeri si riducono ulteriormente quando si prende in considerazione la fascia più giovane della popolazione: i lettori di giornali tra gli under 24 ammontano ad un misero 5,6% del totale.
Più in generale, sempre stando ai dati del rapporto Censis, in poco più di quindici anni, dal 2000 ad oggi, il numero degli italiani che si informa consultando quotidiani cartacei si è dimezzato, passando da circa sei milioni, a meno di tre.
Il crollo dei lettori si è tradotto in una netta riduzione degli introiti pubblicitari, che nei primi due mesi dell’anno erano in calo del 9,8% rispetto al gennaio e al febbraio del 2016, esacerbando la crisi del settore.
Di contro, aumenta la diffusione delle piattaforme online che si propongono come “edicola digitale” offrendo la possibilità di sottoscrivere abbonamenti per la consultazione delle copie digitali dei principali quotidiani, ma anche settimanali e mensili, nazionali. Specie all’interno delle grandi aziende, questo tipo di tecnologie ha registrato un successo crescente negli ultimi anni, grazie a piattaforme di edicola digitale con innumerevoli funzioni di ricerca e analisi che semplificano la fruizione delle informazioni e la loro condivisione con i colleghi.
Nonostante la crescita del numero medio degli utenti che ogni giorno consultano la versione online dei più diffusi quotidiani italiani (1,6 milioni per Repubblica.it e 1,1 milioni per Corriere.it stando ai dati ufficiati pubblicati dai rispettivi gruppi editoriali), i portali di news online faticano a monetizzare le visite con il solo ricorso a banner e video pubblicitari e così aumentano le realtà che hanno avviato esperimenti limitando il numero di articoli e contenuti fruibili gratuitamente e proponendo formule di abbonamento alla sola versione web del giornale.
Di certo, le news corrono ormai sulla rete: se il 28,5% degli italiani continua a prediligere i telegiornali come principale mezzo di informazione, è ben il 53,7% a mantenersi informato grazie al web (in particolare, per il 27,1% degli utenti, il canale preferenziale è rappresentato dai social network, Facebook in primis).
La vertiginosa crescita dell’influenza dei media digitali ha spostato il focus dell’opinione pubblica su problematiche per molti versi inedite, come quella dell’egemonia dei big della rete – Google, Facebook, YouTube e le varie piattaforme di social networking – che detengono un potere sempre maggiore sui flussi di notizie e informazioni nel mondo, stabilendo in modo arbitrario i regolamenti di utilizzo dei propri servizi e, in diversi casi, beneficiando di lacune delle singole legislature nazionali sulla tassazione degli introiti pubblicitari.
Sempre più incontenibile, poi, il fenomeno “fake news”, ovvero la diffusione di notizie in parte o del tutto inventate, create ad hoc per catturare l’attenzione e i click degli utenti o, peggio, per manipolarne l’opinione. Secondo quanto rivelato dall’indagine del Censis, quasi il 50% del campione intervistato ha ammesso di essere caduto nella trappola delle notizie false almeno in un’occasione, dando seguito ad informazioni prive di fonti attendibili e rivelatesi in seguito senza fondamento.
È tra i più giovani, abituati ad una fruizione immediata e superficiale dei contenuti, che il fenomeno desta particolare preoccupazione, tanto che, già a partire dallo scorso anno, il Miur, in collaborazione con la Presidente della Camera Laura Boldrini, ha avviato il progetto #BastaBufale, con l’obiettivo di diffondere consapevolezza nelle scuole e nelle università circa questi temi.
Le difficoltà che gli utenti della rete incontrano nel distinguere il falso dal vero è anche la spia di un problema più ampio, che riguarda il tasso di literacy – ovvero, letteralmente, di alfabetizzazione – della popolazione italiana. Nella classifica stilata dall’Ocse, l’Italia si colloca agli ultimi posti tra i paesi europei per “competenze alfabetiche funzionali”, ovvero capacità basilari come la lettura e la comprensione di un testo.
La conferma dello scarso appeal della lettura sugli italiani, d’altra parte, arriva anche dagli sconfortanti dati di Federculture, che segnala come nel 2016 era solo il 40,5% della popolazione ad aver letto almeno un libro nel corso dell’anno.