Silvia De Luca, storico dell’arte, boccia i lavori in corso
“Non bastava l’affossamento delle colonne dei portici causato dalla pavimentazione installata per la
riqualificazione della piazza Vittorio Emanuele II; non era neppure sufficiente aver innalzato la statua di
Rabarama, idolo freddo e muto accanto alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, sganciato dal contesto
urbanistico in cui è stato inserito, con il quale non ha alcuna relazione semantica e linguistica. No:
l’amministrazione comunale di Vallo della Lucania guidata da Antonio Aloia aveva bisogno di colpire al
cuore la comunità che dice di rappresentare, di invadere quell’ultimo lembo di centro storico costituito
dalla piazza San Pantaleone”.
Inizia così una nota di Silvia De Luca, storico dell’arte dell’Università di Firenze, che punta il dito contro i lavori nella piazza antistante la cattedrale.
“Quel che è stato già realizzato è una colata di cemento che si addossa alle preesistenti
costruzioni in pietra e che già risulta parzialmente rivestita da piastrelle in ceramica di Vietri, che stonano
cromaticamente con il resto dell’area. C’è da aggiungere che questa fontana, di cui onestamente non si
comprende la ragione, viene beffardamente costruita in un momento in cui in tutto il Cilento imperversa
una drammatica crisi idrica e i cittadini vallesi sono stati privati dell’utilizzo di tutte le fontanelle pubbliche
presenti nelle contrade che attingono all’acqua delle sorgenti”, accusa De Luca secondo cui “Operazioni come quelle a cui l’amministrazione Aloia ci ha tristemente abituati si spiegano solo alla luce di
un profondo disprezzo verso la tutela e il recupero dei centri storici e di un’assoluta mancanza di rispetto
per il contesto in cui sono inseriti progetti tanto invasivi e totalmente avulsi dallo spazio circostante, dai
materiali e dai processi che hanno contribuito nel tempo a conferire loro l’aspetto attuale. Mali che,
purtroppo per noi, la giunta comunale condivide con chi invece questi valori dovrebbe impegnarsi
quotidianamente a difendere: mi riferisco al funzionario responsabile di zona della Soprintendenza
Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino che ha seguito la pratica; al Soprintendente che l’ha
inspiegabilmente approvata; allo stesso architetto direttore dei lavori autore di un progetto così incoerente
e disorganico. E in fondo non posso assolvere neppure me stessa e i miei concittadini, poco vigili sulle
decisioni che vengono prese sulle nostre teste. Ci fidiamo sempre troppo delle istituzioni che dovrebbero
perseguire il bene comune e invece scopriamo con una certa incredulità che l’epoca dei politici, dei
funzionari e dei tecnici che hanno devastato qualunque centro storico cilentano non è ancora finita e
ancora ci tocca farne le spese.
Gli interventi di “riqualificazione” di cui Vallo è stata oggetto negli ultimi anni rispecchiano la tronfia
supponenza di chi vuole soltanto autocelebrarsi attraverso simboli calati dall’alto su un tessuto storicizzato.
Sono cose che accadevano nei secoli passati: in Cilento forse non ci siamo accorti che l’assolutismo è
tramontato da un pezzo, così come apparentemente trascorsa, almeno in Europa, è la stagione dei regimi
totalitari. Ma di fronte a questa nuova fontana c’è da rimpiangere perfino i sovrani del passato, che quanto
meno avevano una sensibilità e una cultura tali da affidare le varie trasformazioni urbanistiche da loro
imposte, specchio del loro potere, ai migliori ingegni che abbia prodotto questo Paese.
Eppure non mancherebbero le battaglie che organi ministeriali, Parco del Cilento, amministrazioni comunali
dovrebbero portare avanti per tutelare e valorizzare il nostro patrimonio storico-artistico e il nostro
paesaggio.
Secondo De Luca “sarebbe urgentissimo imporre un blocco edilizio a fronte della violenta cementificazione che il
territorio continua a subire, ancor più insensata se si pensa alla fortissima emorragia demografica in atto
per mancanza di lavoro e di offerte culturali; bisognerebbe stendere una Carta del Restauro per la messa in
sicurezza, il ripristino, la riconversione delle tante case rurali che identificano il nostro paesaggio e che a
Vallo continuano ad essere lasciate crollare per favorire le solite speculazioni dei palazzinari”.
“Non siamo più ai tempi della damnatio memoriae, quando ad ogni caduta di potere corrispondeva
l’abbattimento delle opere d’arte che lo rappresentavano (anche se talvolta sarebbe proprio il caso di
ripristinare quest’antica pena), ma siamo in un’epoca di impegno civile, in cui tutti dovremmo dedicarci con
più attenzione a difendere le nostre radici e gli spazi e i luoghi in cui esse si sostanziano”, conclude l’esperta dell’Università di Firenze.