Sapri: ricorre l’anniversario dello sbarco di Pisacane, non sbiadisce il ricordo dell’impresa eroica

160 anni fa la spedizione dei trecento

Di Debora Scotellaro

160 anni fa la spedizione dei trecento

Oggi ricorre l’anniversario dello sbarco di Carlo Pisacane sulla costa di Sapri. A distanza di 160 anni non sbiadisce il ricordo di quell’impresa che nel 1857 rappresentò uno dei primi tentativi di unificazione dell’Italia.

Pisacane, dopo la liberazione dei detenuti politici dalla prigione borbonica di Ponza, sbarcò a Sapri la sera del 28 giugno. Qui si sarebbero dovuti radunare i rinforzi e quindi partire alla volta di Napoli. era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.

La prima parte del piano non ebbe intoppi.Il 25 giugno 1857 Carlo Pisacane e 24 suoi compagni, tra cui Nicotera e Falcone, imbarcatisi su un piroscafo di linea diretto a Cagliari, costrinsero l’equipaggio a puntare su Ponza ove riuscirono a liberare 323 detenuti, di cui solo una dozzina condannati per motivi politici. Sbarcati la sera del 28 a Sapri, però, invece di avere l’appoggio della popolazione si ritrovarono circondati da contadini armati di falci e zappe. Il bel sogno dell’eroico capitano di costruire, dal Sud, la sua patria Italia, non fu sorretto dalla popolazione del luogo,la quale era stata informata dai soldati borbonici che a sbarcare non sarebbero stati patrioti ma comuni criminali evasi da Ponza.

La fuga fu rocambolesca e Pisacane ed altri uomini si ritrovarono a Padula circondati dai soldati e dai contadini. Pisacane morì in quella battaglia mentre alcuni suoi uomini, scampati alla morte, furono catturati e condannati alla pena capitale. Solo l’intervento del governo inglese, coinvolto dato che 2 dei cospiratori erano di nazionalità britannica, fece tramutare la pena di morte in ergastolo. Alla vicenda è ispirata la famosissima poesia di Luigi Mercantini intitolata La spigolatrice di Sapri.

Me ne andavo al mattino a spigolare,
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore;
e alzava una bandiera tricolore;
all’isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra.

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra,
ad uno ad uno li guardai nel viso;
tutti aveano una lagrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
“Siam venuti a morir pel nostro lido”.

Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per mano,
gli chiesi: “Dove vai, bel capitano?”
Guardommi, e mi rispose: “O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella”.
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: “V’aiuti il Signore!”

Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontrâr con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliâr dell’armi:
ma quando fûr della Certosa ai muri,
s’udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.

Eran trecento e non voller fuggire;
parean tremila e vollero morire:
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a loro correa sangue il piano:
fin che pugnar vid’io per lor pregai,
ma a un tratto venni men, né più guardai:
io non vedea più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti.

La spedizione, nonostante il fallimento, ebbe comunque il merito di riproporre all’opinione pubblica italiana la il problema della liberazione del Mezzogiorno italiano dal governo borbonico.

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