Tra i vari mestieri che resistono al tempo nel Cilento, – sarà per via del carattere ‘poco centrale’ di un territorio come appunto quello cilentano – , vi è quello del “pezzàro”.
In origine, però, il mestiere del pezzàro era un po’ diverso rispetto a quello che svolge adesso.
Costui era, esattamente, un uomo che girava con un carrettino per i paesini alla ricerca di “clienti” coi quali barattare stoffe vecchie, calzini malridotti (di qui il soprannome di “pezzàro” o “pezzaio”), o anche ferro vecchio, metalli fuori uso; talvolta anche ossa di animali o qualsiasi altro oggetto da buttare, che egli avrebbe comunque riutilizzato. Caratteristica era l’esclamazione con cui all’arrivo si introduceva, facendo in modo che la gente accorresse presso il suo carretto e si levasse di torno proprio roba vecchia da non utilizzare. In cambio, poi, di stracci o quant’altro che la gente gli donava, il pezzàro lasciava un oggetto in genere di terracotta chiamato “ruagna”, che poteva essere una tazzina o altro, ma comunque sempre di bassissima qualità; se poi al seguito dei suoi clienti vi fosse stato anche qualche bambino, il pezzàro avrebbe regalato a quest’ultimo un fischietto di terracotta.
Ma per quanto riguarda il materiale consegnato, cosa ne faceva il pezzàro? Lo rivendeva principalmente a dei mercatini della zona o a delle aziende che poi a loro volta lo riciclavano per farne diversi oggetti.
Oggi il pezzàro esiste ancora, anche se “in quantità” chiaramente minori, e si occupa solo di dislocare metalli e ferri vecchi. Resta, il suo, un lavoro itinerante e umile, ma essendo mutati usi e costumi della società, non prevede più l’uso del baratto.