No alla violenza sulle donne: a Roscigno una giornata in rosa

Previste diverse iniziative per mercoledì 8 marzo, festa della donna

Di Katiuscia Stio

Previste diverse iniziative per mercoledì 8 marzo

ROSCIGNO. “Roscigno in rosa” è l’appuntamento per mercoledì 8 marzo organizzato dal Comune, Guardie Ambientali Italiane e Consulta Pari Opportunità.
La giornata prevede una “Camminata in rosa”, inaugurazione e benedizione della panchina rossa ( simbolo del percorso di sensibilizzazione verso il femminicidio e la violenza maschile sulle donne) ed infine un convegno dal tema “No violenza” con il professore Marino D’Amore, Facoltà di Psicologia-LUDES HEI Foundation Malta campus Lugano.
Un importante appuntamento per le giovani donne, ma soprattutto giovani uomini affinché siano coscienti di questo problema e lo affrontino attraverso il dialogo e l’aiuto reciproco. Ma cos’è la “violenza di genere” e come si sviluppa? Ne abbiamo parlato con il professore Marino D’Amore.

Il professore Marino D’Amore

D-Violenza contro le donne, femminicidio. Il passo è breve?
R- Decisamente sì; il femminicidio non rappresenta altro che il culmine drammatico di ogni episodio di violenza contro le donne; un iter psicologico e relazionale in cui si perde qualunque controllo inibitore e che si manifesta in un’escalation di comportamenti vessatori, e purtroppo a volte sanguinosi. Comportamenti che contestualizzano la donna come un oggetto, una proprietà, priva di diritti e depauperata da qualsiasi potere decisionale; prerogativa dell’uomo nato e cresciuto in un contesto storicamente e culturalmente patriarcale che colloca la controparte femminile unicamente nel ruolo di madre e angelo del focolare.

D-Chi è l’uomo che si accanisce contro la (sua) donna?
R-Un debole che ha perso ogni punto di riferimento socioculturale, che ha smarrito qualsiasi forma di coscienza etico-morale, ma soprattutto che non riesce a comprendere il ruolo che una giusta emancipazione femminile ha indotto nelle dinamiche relazionali tra uomo e donna e si sente privato ingiustamente di una leadership mantenuta per secoli. Tale privazione non fa altro che esacerbare e stimolare qualsiasi sforzo finalizzato a ripristinare quelle gerarchie consolidate nel tempo, non ultimo l’eliminazione fisica dell’ “altro”, di quell’ostacolo che impedisce il ritorno alla “normalità” perduta: ossia la donna e il nuovo ruolo che occupa all’interno della società.

D- Negli ultimi 70 anni c’è stato un affrancamento del ruolo della donna nei rapporti di genere. Il conseguimento di tali conquiste, civili e sociali, a suo giudizio, quale impatto hanno avuto nel rapporto uomo-donna? tutto ciò ha influito sui processi di autostima dell’uomo? e della donna?

R-Il processo di emancipazione che, negli anni e aggiungo giustamente, ha interessato il ruolo delle donne ha, come dicevo prima, radicalmente rovesciato equilibri cristallizzati nel tempo, attualizzando rivendicazioni di parità tra i sessi non comprensibili da parte degli uomini, cresciuti secondo modelli educazionali obsoleti, impartiti da generazioni precedenti fossilizzate su quella stesa subordinazione tra i sessi. In questo modo molti uomini, formati e diventati adulti in un simile ambiente socioculturale, non sono entrati in possesso dei mezzi, dei codici, degli strumenti cognitivi per comprendere e interpretare un tale cambiamento. Tutto ciò ha comportato una sorta di corto circuito emozionale e intellettivo. L’esasperazione reiterata di tale disorientamento ha condotto a un deficit di autostima e un aumento di frustrazione maschile che scatena la violenza. Una tale considerazione, lungi dall’essere una giustificazione per ciò che è ingiustificabile, rappresenta una componente culturale che tuttavia gioca un ruolo di primo piano in eventi del genere. La donna, a sua volta, in questi casi viene isolata dal proprio contesto familiare e amicale, costretta a sottostare e aderire all’unico rapporto che “conta”, quello con il proprio uomo “padrone”, innescando tutti i processi di vittimizzazione, giustificazione degli eventi e i sensi di colpa che la rendono attrice passiva di una relazione morbosa e necessariamente bisognosa di un aiuto clinico oltreché legale.

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