Viaggio nel Cilento antico: le attività e i mestieri di una volta
Andare alla ricerca degli antichi mestieri è sicuramente un buon modo di mantenere viva l’attenzione verso il passato, che costituisce l’identità di ognuno; e per comprendere l’importanza dei comfort di cui godiamo oggigiorno, soprattutto al lavoro. Stilare una classifica dei mestieri un tempo più diffusi, però, può essere utile anche per tracciare l’identità culturale di un luogo.
Il Cilento, da zona che culturalmente non ha mai rivestito un ruolo particolarmente vivo, ha mantenuto molte delle attività che altrove sono state letteralmente soppiantate da altre più moderne. Tra quelle che ancora oggi sopravvivono vi è quella del cosiddetto “pezzaro”, un uomo che girava per tutti i paesi del Cilento con un carrettino su cui trasportava della merce, -che andava dagli stracci (da qui il nome) al materiale edile; i clienti gli lasciavano loro mercanzie e in cambio ricevevano una “ruàgna”, ovvero un oggetto in terracotta. Oggi il “pezzaro” si occupa principalmente di dislocare ferraglia vecchia che la gente non sa dove trasferire; il mestiere non si basa più sul metodo del baratto.
Anche il calzolaio, o ciabattino, era un mestiere molto diffuso che oramai è sempre più in via d’estinzione, date le migliori possibilità economiche che si sono acquisite col tempo e che hanno determinato un minore ricorso al lavoro dei calzolai. Altra attività particolarmente redditizia in passato era quella dei “trappìti”, ovvero dei frantoi; prima di tutto per il fatto che l’olio è sempre stato un prodotto cardine della cucina cilentana, data la discreta diffusione degli ulivi sul territorio cilentano, e inoltre per il fatto che la manodopera un tempo era senz’altro molto più diffusa. Molte delle attività che si sono perse, in effetti, si sono estinte proprio per mancanza di manodopera; stesso discorso vale per le cantine vinicole o per le “fabbriche”, spesso delegate alla produzione di pipe, anche in più punti in uno stesso piccolo centro.
Ancora, un tempo erano molto diffuse le botteghe dei “maniscalchi”, ove si portavano a “ferrare” i cavalli, i muli e gli asini; e diffusi erano anche i trainieri, che svolgevano un mestiere simile a quello dei maniscalchi, nel senso che anch’essi trasportavano del materiale edile su di un carretto trainato da un cavallo. Erano frequenti nel Cilento i mulini, presso cui la gente portava il proprio grano affinché ne fosse fatta della farina, e molte erano le concerie e le tappezzerie. I falegnami, gli scalpellini, mestieri di cui oggi si soffre una grave penuria, erano tanti e considerati dei veri artisti.
Discorso a parte va fatto per tutte quelle attività frequenti anche oggi, di cui però sarebbe interessante conoscere il passato; le cantine, ad esempio, una volta non solo erano dei locali in cui si vendeva il vino: molto frequentemente preparavano anche da mangiare. Il tabaccaio, per esempio, vendeva il tabacco sfuso e a peso, e con esso i fumatori confezionavano autonomamente le loro sigarette. I cosiddetti ciabattini, o i ferrai, poi cominciarono a costruire anche utensili e a ferrare anch’essi i cavalli. Inoltre, per comprare la pasta di grano duro, -che un tempo rappresentava una novità- , la gente andava dal negoziante (al quale era arrivata dentro un cartone) con lo “stiavucco”, ovvero una tovaglia che poneva sul bancone, sulla quale veniva messa la pasta una volta pesata col “vilanzuni”, una bilancia dal piatto in ottone, tre catene e un’asta di ferro. I “maccaroni”, se comprati in piccole quantità, venivano venduti in dei sacchetti di carta.
Per quanto riguarda le bevande gassate, infine, esistevano delle apposite botteghe che le producevano. Per farlo, delle macchine mescolavano acqua e anidride carbonica con l’aggiunta di essenze che provenivano dall’America; le bevande, poi, si conservavano in bottiglie di vetro con tappo anch’esso di vetro.
Risulta chiaro che le poche vecchie attività che sopravvivono nel Cilento abbiano ormai ceduto il passo all’innovazione, ma è anche vero che i sapori e i mestieri di una volta stanno recuperando fortemente spessore, -se non altro a livello culturale-, nella nostra realtà locale.