Alla scoperta del birrificio cilentano
CASTELNUOVO CILENTO. “La tradizione brassicola è un fenomeno che nel panorama della gastronomia moderna sta acquisendo grandissimo valore; ma la sua storia appartiene a centinaia di anni fa, velando talvolta la sua origine. Diversi esperti la chiamano vini d’orzo e, con degna forza, può portare questo appellativo grazie alle sue qualità organolettiche che stimolano piacevolmente le nostre sensazioni”. Questo è l’incipit che possiamo leggere sulle brochure del micro birrificio Fiej che, a soli pochi anni dalla sua apertura al pubblico, sta avendo degli ottimi successi. Precedentemente ho avuto già modo di recensire questa piccola azienda brassicola nel cuore del Cilento; oggi ritorno sulle mie scritture proprio agli sgoccioli dell’uscita di un nuovo prodotto firmato da casa Fiej che verrà presentato per le feste natalizie. Un azienda che nasce nel 2010 ma che entra in produzione solamente nel 2014 con quattro etichette; un periodo di tempo, ( secondo le parole del Mastro Birraio Stefano Ridolfi) necessario a trovare la giusta qualità del prodotto sotto un accurato e profondo studio del “materiale brassicolo”. Lo stesso Stefano riconosce che duri anni sotto la guida di uno dei più quotati mastri birrai d’Italia, Luigi Serpe, ha permesso di gettare le fondamenta per i suoi prodotti, ricercando la qualità delle materie prima e la raffinatezza nelle proprietà organolettiche. Dunque non è un caso che le sue birre rappresentino ciò che oggi è diventato un cliscé in questo panorama, ossia la birra artigianale; ma cosa significa esattamente questo termine? Tediati oramai dai classici termini inflazionati sulla birra ( “bionda”, “doppio malto” rossa, fatta in casa”) la terminologia “birra artigianale” assume un significato ben diverso. Innanzitutto parliamo di prodotti che vengono rifermentati in bottiglia, così come quando in enologia parliamo delle migliori bollicine e ci riferiamo al metodo Classico (esperti filo francesi preferiscono ancora utilizzare il termine champenois!!). La scelta delle materie prime diviene un’accurata ricerca per la migliore qualità e le dosi da utilizzare risultano essere quasi lo sforzo stechiometrico di un analista per le sue ricerche. Non accessori sono i termini di rifermentazione, affinamento sui lieviti, aggiunta di più luppoli per l’aromatizzazione ( l’azienda effettua il “dry hopping”, o “luppolatura a freddo” che permette di aromatizzare le birre senza alterare le componenti chimiche del luppolo) e l’eventuale stabilizzazione in bottiglia. Il risultato?? Un prodotto unico, senza date di scadenza ma soprattutto vivo, capace di evolversi e trasformarsi per regalare diversi momenti edonistici al consumatore. Ovviamente il Fiej non è un azienda da “appartamento” dove qualche “brew-avventore” si diverte con macchinari da poche centinaia di euro per la produzione di una birra che il più delle volte sa di glutammato mono-sodico!! Questa è un’azienda che nel giro di due anni è arrivata ad una produzione di circa 50000 litri e, tramite la lungimiranza di Stefano, può arrivare a dati significati al pari di grandi aziende rinomate in questo panorama. L’assenza di partecipazione a diversi concorsi è la manifestazione della volontà di cercare un prodotto che possa esprimersi al massimo per raggiungere e scalare il podio; un manifesto culturale tramite cui possiamo modificare il concetto superficiale e medio che abbiamo oggigiorno sulla birra. Personalmente ho avuto modo di degustare dell’azienda una birra di un lotto datato 2014 ( circa due anni e mezzo di stabilizzazione in bottiglia). Il risultato? Un prodotto con un’ottima carbonazione che aiuta i profumi nascosti a liberarsi, sfiorando note di malto misto a miele di castagno e frutta esotica. Nel palato decisamente avvolgente, con sfumature diverse di note balsamiche, leggermente eteree e maltose. Oggi l’azienda Fiej rappresenta una piccola realtà dotata di attrezzature all’avanguardia, quotidianamente in espansione con una sorta di processo osmotico culturale verso il miglioramento; i suoi sforzi sono fondamento per un approccio diverso al mondo della birra, sicuramente molto più vicino a quello che per l’italiano medio è il vino.