Ancora una tappa del viaggio nelle tradizioni del Cilento: la vendemmia
Il momento in cui anticamente si effettuava la vendemmia (“viligna”) era letteralmente un momento di festa e di aggregazione.
La prima operazione per la produzione del vino consisteva nell’“attuffare la tina”, ovvero nel riempire un tino d’acqua tale da ripulirlo dal tartaro che si era formato dopo l’utilizzo dell’anno precedente; per l’occasione anche le damigiane (“ramiggiani” e “piretti”) venivano pulite e messe ad asciugare a testa in giù, e stessa operazione veniva fatta per i barili, per l’imbuto col filtrante (“’u mutu ‘ccu ‘u sitiddu”), e per il sacco di canapa, occorrente anche quest’ultimo per la filtratura del prodotto. La raccolta dell’uva era un compito prettamente delegato alle donne, le quali con vestiti da festa tipici dell’occasione, tra balli festosi cantavano le famose “cilindrane”, ovvero canti a cori alternati, mentre tagliavano i grappoli d’uva con delle forbici adatte all’operazione, avendo cura di eliminare gli acini ammuffiti e quanto altro fosse da scartare.
L’uva, una volta terminata la raccolta, veniva posta nel tino, sulla cui parte inferiore si trovava un foro che permetteva il versamento della sua spremitura in una sottostante tinozza (“tiniaddu”), – e chiaramente il preliminare per la spremitura era un’accurata lavanda dei piedi dell’addetto alla pigiatura. Il succo che si ricavava a questo punto veniva detto “miruddu”: una volta approntato questo succo, gli asini ne trasportavano anche due barili alla volta in luoghi dedicati alle fasi successive di lavorazione. Tra queste la prima era quella della ‘fermentazione’ (“rivuddu”), favorita dal lavorìo dell’uva e dal conseguente calore prodottosi. Infine, il mosto veniva immesso nelle damigiane in base a dei tempi stabiliti secondo le fasi lunari, e una volta terminata del tutto la sua fermentazione, veniva travasato in altre damigiane e salvaguardato in superficie da uno strato di olio che ne proteggesse l’aroma e ne impedisse l’acetificazione.
La vendemmia solitamente avveniva nel mese di settembre e già a metà novembre si poteva gustare il vino nuovo. Oggi però, purtroppo, di vigne locali ne esistono ben poche in quanto la manodopera necessaria per curarle non c’è, stando questa a dei costi molto elevati.