Nove anni a Palazzo de Vargas, come istruttore di Giulio Rocca
“Gli affetti di un disperato”: tra gli scritti di Gianbattista Vico pare sia questa poesia giovanile a raccontarne il suo passaggio a Vatolla dal 1686 al 1695, piccolo centro del Cilento Antico che ha saputo fare di questa passata presenza un suo vanto, grazie alla Fondazione che ne porta il nome, ed un validato riconoscimento per la qualità della memoria e del ricordo. Testimonianza di questo lungo passaggio la natura evocata nei versi, “faggi e lauri” e sole ed ombra, e la durezza di un’arcadia che si fa vera vita contadina ed entra dentro la quotidianità dell’esistenza degli abitanti del borgo. Vico trascorse qui nove anni, in una solitudine ricercata, voluta, per dedicarsi allo studio e ai libri. Nove anni a Palazzo de Vargas come istitutore di Giulia Rocca, qualche riga della sua autobiografia che esalta l’aria del posto e l’agio sperimentato nella casa del marchese Domenico Rocca e quei pochi versi che sembrano voler condensare l’esperienza di un affetto che da una donna, oggetto d’amore e di angoscia, si sposta sui luoghi, in una trasposizione di sentimenti che rese il Cilento la sua terra d’elezione per soddisfare un bisogno di contemplazione e silenzio. Ma c’è dell’altro che ci è concesso immaginare e raccontare della sua permanenza: nella biblioteca del Convento di Santa Maria della Pietà, in cui passò la maggior parte del suo tempo, è possibile trovare gli echi della sua ostinazione, mentre piegata la schiena alla luce artificiale di una lampada ad olio, frugava dentro sé stesso, magari distraendosi, di tanto in tanto, dinanzi alla bellezza delle ceramiche che ne decoravano gli ambienti prima del furto recente che ce ne ha privato per sempre. Finanche la pianta d’ulivo che dimora dinanzi al palazzo conserva qualcosa del suo ricordo, lì sotto si narra sedesse spesso ed oggi resta nella sua secolare permanenza un punto da raggiungere per coloro che riconoscono l’importanza del suo esser stato per un certo tempo, ospite del Cilento.