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Il Cilento raccontato dai diari del Grand Tour di Arthur John Strutt

Tanti gli scrittori che tra il '700 e l'800 hanno affrontato il Grand Tour. Tra essi Arthur John Strutt

Cinzia Sapienza

9 Ottobre 2016

Arthur John Strutt, scrittore inglese del primo Ottocento, descrive in “A Pedestrian tour in Calabria & Sicily” il suo passaggio nel Cilento, lasciando un’importante testimonianza sull’aspetto del territorio all’epoca della dominazione borbonica. Il suo libro è, infatti, il diario di un viaggio compiuto nel 1838 da Roma a Palermo, con alcune significative tappe nel Cilento. Nella narrazione il territorio da Agropoli a Sapri appare povero, arretrato, abbandonato, ma non mancano, tra le note di Strutt, elementi di bellezza e straordinarietà: paesaggi mozzafiato, gente cordiale, cibi genuini, elementi che sottolineano già alcuni dei tratti tipici della “cilentanità”.

Il diario di viaggio è, in effetti, una raccolta di lettere inviate dall’autore ai suoi congiunti residenti a Roma, per informarli circa l’itinerario Roma-Palermo, fatto, peraltro, in compagnia di un altro poeta inglese, William Jackson. Pubblicato nel 1841 il libro ottenne buon successo ed ebbe numerose riedizioni anche in Italia. Tra le più recenti spicca quella dal titolo “Passando per il Cilento” edita da Galzerano, che si limita alle considerazioni fatte dall’autore proprio sul Cilento. La descrizione del viaggio inizia a Paestum, con l’immagine pittoresca di un pastore locale, descritto con particolare accuratezza nei suoi caratteristici costumi. Dopo il momento “bucolico”, i due giovani inglesi non possono sottrarsi al fascino e alla maestosità dei templi, in particolare di quello di Nettuno, per le sue proporzioni e i suoi colori.

Gustoso aneddoto è quello che vede Strutt intento a disegnare le rovine dei templi. All’improvviso viene interrotto, con tanto di divieto, da un funzionario locale (descritto in modo divertentissimo) che smette do protestare appena si vede offrire dal giovane inglese una lauta mancia. Il viaggio prosegue verso Agropoli, dal cui promontorio a picco sul mare si gode lo spettacolo del Golfo di Salerno. Ma la gente del posto, avverte ironicamente lo scrittore, è di origine saracena e dunque non gode di buona reputazione. Conviene virare per Castellabate, dove Strutt e Jackson vengono accolti con tutti gli onori dal barone Perrotti. Agli ospiti, fatti sedere alla destra e alla sinistra del barone, viene servito un pranzo da favola: zuppe, salumi locali, olive, acciughe, polli arrosto, asparagi e ogni altro ben di Dio. Presenti in tavola anche i fichi, riconosciute leccornie della gastronomia cilentana. Insomma una pagina memorabile di giusta celebrazione della buona cucina. Ad Ascea, invece, i due amici si ritrovano ad ammirare la fortezza di “Castello a Mare della Bruca”, alla cui base emergono alcune rovine della città di Velia.

Camerota, in seguito, viene descritta come un paesino difficile da raggiungere e al tempo stesso squallido. Stessa sorte per San Giovanni a Piro che appare come un villaggio freddo e sporco, con strade strette e le cui case sono diventate nere presumibilmente per il sudiciume e dove spesso convivono persone e animali. L’ultima tappa del viaggio è Sapri: un paese dalle case linde e basse, con giardini colmi di agrumi, dove le fanciulle colpiscono per il loro particolare abbigliamento: aderenti corpetti e calzettoni scarlatti che lasciano scoperti i piedi. È un viaggio, quello di A. J. Strutt, che fotografa un territorio povero, funestato, solo dieci anni prima, dai sanguinosi moti insurrezionali. Il Cilento appare come una terra incontaminata e selvaggia, ma al contempo di grande fascino naturalistico e di cucina prelibata, di gente umile e gentile, qualità rimaste intatte e che la gente del Cilento dovrebbe riscoprire e rivalutare.

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