In clima di campagna elettorale ecco una proposta per Piazza San Pantaleone.
Visto che in tempo di elezioni sono tutti apparentemente più aperti ad ascoltarti, a sentire quello che hai da dire, a prestare attenzione al tuo punto di vista, perdere questo treno sarebbe un peccato e quindi approfitto di queste pagine per offrire qualche spunto al Sindaco di domani, Toni Aloia, Nicola Botti o Pietro Miraldi.
Ebbene quest’oggi parliamo dei lavori di riqualificazione di Piazza Cattedrale, progetto da 548mila euro che il Comune pagherà con un mutuo accesso alla Cassa depositi e prestiti che attualmente si trova con gara d’appalto in corso a cui hanno partecipato una trentina di studi.
Un primo spunto riguarda la possibilità di riprendere, nel disegno che verrà dato alla pavimentazione, la perimetrazione e altri elementi significativi del vecchio duomo vallese. La vecchia chiesa era di rito greco probabilmente risaliva al X secolo e fu abbattuta tra il 1728 e il 1741 per far spazio all’attuale e più capiente cattedrale i cui lavori terminarono nel 1752. Luigi Rossi riporta come inizialmente la nuova cattedrale avrebbe dovuto realizzarsi in Piazza Vittorio Emanuele II per ragioni di spazio e per rendere meno difficoltoso l’accesso agli abitanti dello Spio, non essendo sempre agevole oltrepassare il fiume quando s’ingrossava, soprattutto nelle ore con meno luce. A ciò si opposero i frati del convento dei domenicani perché ritenevano la nuova chiesa troppo vicina alla propria e, per questo motivo, fu realizzata dove tuttora si trova, orientata non est-ovest come la precedente ma nord-sud. Della vecchia chiesa, lunga 13 metri e larga 7,5, ne abbiamo traccia sul lato ovest dell’attuale cattedrale, in cui sono presenti gli stipiti e l’architrave della porta e, sull’adiacente palazzo, troviamo alcuni archi. In uno di questi, sotto il quadro alle spalle della fontana, provare a recuperare e riportare alla luce quel poco che rimane degli antichi affreschi in cui è rappresentata una figura identificabile nella Vergine o in Santa Caterina d’Alessandria, altra figura della tradizione orientale, proprio come il nostro copatrono San Zenone e San Pantaleone. Accorgimenti di questo tipo renderebbero l’intervento qualcosa in più di un semplice restyling, ma un intervento complesso, teso a recuperare e ad esaltare ciò che qualifica “storico” il centro, quindi così prezioso: le tracce millenarie della nostra comunità e delle storie di cui sono portatrici. Un intervento quindi di recupero e di tutela da complementare con azioni di valorizzazione significative, tese ad una riappropriazione dei luoghi non limitata alla frequentazione fisica degli spazi ma ad una compartecipazione emotiva, morale, spirituale e immateriale dei luoghi. Una riqualificazione vera e totale dell’area che accompagna all’intervento sulle pietre, quello sulle persone fornendo loro gli strumenti per una fruizione consapevole degli spazi, affermando i principi di coabitazione tramite la valorizzazione di matrici identitarie. Già durante i lavori si possono realizzare azioni concrete per dare impulso ad un circuito positivo che si muova in questa direzione facendo archeologia urbana, coinvolgendo in cantiere nelle primissime fasi un archeologo e uno storico e, qualora si rinvenisse qualcosa, documentare tutto in maniera scientifica. La soluzione ideale sarebbe quella di inserire nell’intervento di riqualificazione la musealizzazione di queste eventuali evidenze storiche rendendole fruibili. Se poi si vuole essere metodologicamente corretti, già da prima dei lavori di riqualificazione si dovrebbe provvedere ad un esame archeologico non invasivo attraverso un Georadar (Ground Penetrating Radar) e anche con altre tecniche, in maniera tale da prendere cognizione di se e cosa possa esserci nel sottosuolo di Piazza Cattedrale e anche consentire alla ditta aggiudicatrice di orientare la costruzione di sottoservizi in maniera compatibile con le evidenze storiche eventualmente riscontrate. E, perché no, coinvolgere anche la Scuola di Specializzazione sui beni archeologici dell’Università di Salerno. Questo sarebbe un comportamento doveroso visto che ben potrebbero essere presenti segni che testimoniano quel patrimonio culturale immateriale che l’Unesco ci ha riconosciuto come di rilevanza mondiale.
Il secondo spunto che ora introduco riguarda invece una vera piaga dei nostri centri storici e del paesaggio in genere, urbano e non: la presenza di cavi e linee aeree che deturpano i prospetti degli edifici oltre a costituire un potenziale problema igienico-sanitario. Quando si effettuano lavori di riqualificazione generalmente si realizzano sottoservizi ma raramente si provvede a bonificare e riordinare in modo organico cavi e tubazioni, talvolta magari pur avendolo previsto; eppure, un’operazione di questo tipo renderebbe un intervento di riqualificazione molto più significativo rendendo pienamente leggibile l’impianto architettonico del centro storico oltre che ad aumentare il decoro urbano. Poi vi è il problema di ordine igienico-sanitario dato dai volatili; infatti il guano dei piccioni non solo è responsabile dei danni da corrosione alle strutture ma cavi, tubi e linee aeree sono un concentrato di agenti patogeni e, quindi, sono occasione di diffusione e di potenziale contagio di malattie infettive come salmonellosi, ornitosi, borrelliosi, toxoplasmosi, encefalite a causa della contaminazione fecale dell’ambiente data dalla polverizzazione e dispersione del guano e di altre sostanze organiche. Quindi intervenire in questa direzione significa intervenire su aspetti estetici, di miglioramento infrastrutturale ma anche di salute pubblica. Per fare ciò c’è bisogno di un preliminare studio del problema, individuando le linee e gli edifici interessati, coinvolgendo i proprietari e, soprattutto, le aziende che usufruiscono di queste servitù le quali sono per legge obbligate a spostare i cavi qualora venga loro offerta la possibilità di esercitare in maniera alternativa questa servitù. Non solo, ma secondo la legge e secondo la giurisprudenza, per lo spostamento dei cavi non è dovuta alcuna indennità all’Enel, alla Telecom etc., anzi spetta provvedere con loro tecnici, loro operai e a loro spese, al materiale spostamento dei cavi. L’esperienza insegna che è sempre difficile dialogare con queste grandi aziende, non più pubbliche, quando si tratta di bonifica e riordino dei cavi, infatti dopo un sì si tirano indietro, latitando, ma noi abbiamo degli specifici obblighi di legge che ci sostengono nel muoverci in questa direzione con piena legittimità a pretendere. E qualora dovessero insorgere veti o pratiche dilatorie, un Comune deve anche avere la determinazione di intraprendere eventuali vie legali per far valere un legittimo interesse collettivo. In ogni caso, ben prima delle vie legali, bisogna agire su un piano politico concordando con gli enti gestori e/o competenti il passaggio sottotraccia di cavi e impianti e procedendo ad una pianificazione in tal senso.
Questi due spunti di riflessione di cui spero tenga conto il prossimo Sindaco di Vallo necessiterebbero in ogni caso di essere inseriti, insieme all’intervento tutto, in un disegno strategico del centro storico. Cosa è stato il centro storico? Cosa è attualmente? Cosa vogliamo che sia? Chi sono gli attori e i portatori di interessi? Quali sono i punti di forza, le debolezze, le minacce e le opportunità del centro storico? Quali sono gli strumenti e le risorse per realizzare questo disegno? Ci sono esperienze virtuose da cui prendere ispirazione? Come verificare se l’intervento ha prodotti i risultati prefissati? In che modo migliorare l’intervento?
L’intervento di riqualificazione di Piazza Cattedrale può e deve essere qualcosa di più, tenendo infatti presente che un intervento di restyling si completa fino a diventare intervento di riqualificazione e di rigenerazione urbana se accompagnato da varie misure tese a delineare e a realizzare una strategia dei centri storici. Una strategia che tenda a dare una funzione al centro storico all’interno del tessuto urbano e territoriale; bisogna rifunzionalizzare il centro storico e questo comporta anche gestire i processi di rigenerazione urbana lungo tutto il ciclo di vita del progetto. Un disegno complesso, con operazioni complesse che devono essere sostenute e affiancate da competenze specialistiche altamente qualificate, soprattutto perché si tratta di metodologie e di pratiche innovative che necessitano, sempre e in ogni caso, di una conoscenza strutturata e approfondita dell’area di intervento e del suo contesto. Da questo punto di vista mi permetto di portare all’attenzione le metodologie d’intervento recentemente approfondite e promosse dal REFRAME-workgroup (consultabile qui) che pone la rigenerazione urbana del centro storico come “un processo e/o una politica di governo del territorio, attivati o supportati da processi partecipativi e di partenariato pubblico/privato, con oggetto il patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, finalizzati a garantire la permanenza, il ripristino o il rinnovamento delle condizioni di vitalità e sostenibilità socio-economica, culturale ed ambientale, di qualità urbana, funzionale e prestazionale, in particolare in termini di dotazione di attrezzature, servizi e infrastrutture, di risparmio energetico e sicurezza dalla vulnerabilità sismica ed idrogeologica”. Di questo workgroup non è poi da sottovalutare il progetto ARCA|LAB che punta alla verifica della vulnerabilità sismica dell’edilizia storica che, nel caso dei centri storici, non è un’attività che può essere rimessa al privato visto che in questa analisi non si prende in considerazione la singola proprietà o il singolo edificio ma gli aggregati edilizi e le unità strutturali; in più propone la creazione di un organismo permanente – un osservatorio sull’edilizia storica – che guidi i soggetti coinvolti e sostenga l’adozione di buone pratiche.
Un’ultimissima considerazione, prima di chiudere, riguarda Giannino Fatigati – grande risorsa della nostra comunità e del centro storico – attorno alle cui opere potrebbe caratterizzarsi la riqualificazione dello spazio urbano di Piazza Cattedrale attraverso la creazione di un Parco letterario “Giannino Fatigati”; la qual cosa risulterebbe molto più utile ed efficace in termini di riuso e rifunzionalizzazione del centro storico, a differenza della prevista fontana “monumentale” (totalmente aliena dall’iter storico e sociale di quell’area) la quale francamente non riesco a capire, magari per una mia mancanza, in che modo si inserisca come strumentale ad una rifunzionalizzazione e ad un riuso del centro storico; a meno che di non voler dire “che verranno i turisti a vederla”. Meglio puntare su ciò che già c’è, conoscendolo, tutelandolo, valorizzandolo e facendolo fruttare.