Alla scoperta del Monte Gelbison tra sacro e profano

«…E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, ed i grandi flutti del mare, ed il lungo corso dei fiumi, e l'immensità dell'Oceano, ed il volgere degli astri. E si dimenticano di se medesimi…».

Di Alessandra Bamonte

«…E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, ed i grandi flutti del mare, ed il lungo corso dei fiumi, e l’immensità dell’Oceano, ed il volgere degli astri. E si dimenticano di se medesimi…».

Sant’Agostino

Nell’anno del Giubileo della Misericordia non potevamo non dedicare questo spazio al cammino di fede che tanta importanza ha avuto nella storia per i nostri cilentani, e che oggi viene riproposto per tutti gli appassionati dei cammini lenti, fatti di solitudine e meditazione, per apprezzare anche con una certa devozione quello che offre la cultura del nostro territorio.

Nel cuore del Cilento, proprio alle spalle di Vallo della Lucania, si erge in tutta la sua imponenza, il “gigante” della valle di Novi, il massiccio del Gelbison, sulla cui vetta si trova il Santuario dedicato alla Vergine Maria.

Per i Cilentani il Gelbison è semplicemente “il Monte Sacro”, che attira annualmente migliaia di fedeli che lassù confluiscono non solo dalla Campania ma anche dalla Basilicata, dalla Puglia e dalla Calabria per deporre ai piedi di Maria le loro pene e chiedere delle grazie. Punto di ritrovo di fedeli,religiosi, pellegrini, ma anche di chi dopo un lungo cammino, tutto in salita, lentamente discende per festeggiare al suon di pizzica e tammorra la propria giornata, magari accompagnata da una grigliata e un brindisi di vino tra i tanti ricoveri costruiti a valle.

Il nome del monte è di etimologia saracena, Gebil-el-Son, il “Monte dell’Idolo”, perché questa montagna è sacra già prima che i Monaci Basiliani nel X sec. fondassero questo santuario sulla vetta. La sacralità dei luoghi si avverte già all’imbocco del sentiero dove tra la folta e suggestiva vegetazione il torrente Torna scorre saltellando qua e là tra i massi di arenarie formando una successione di pozze e cascatelle.

La leggenda narra che alcuni pastori di Novi Velia, volendo edificare ai piedi del monte per loro comodità, un piccolo tempio dedicato alla Madonna, ed essendo riusciti vani tutti i loro tentativi poiché al mattino si trovava disfatto il lavoro del giorno prima, decisero di vegliare di notte per scoprirne gli autori e portarono con loro un agnello per cibarsene. Ma, sul punto di essere ucciso, l’agnellino sfuggì loro dalle mani e, saltando da sentiero in sentiero, arrivò sulla vetta, arrestandosi tutto tremante davanti ad un muro che ostruiva una piccola grotta.

Sulla grotta i pastori videro rappresentata l’immagine della Madonna.

Attoniti, i pastori corsero a raccontare l’accaduto ai compaesani e al vescovo di Capaccio, dato che allora non c’era ancora il vescovado a Vallo. Il vescovo si recò sul luogo per verificare con i propri occhi ma, al momento di benedire la grotta, risuonò una voce dall’alto: “Questo luogo è santo ed è stato consacrato dagli Angeli”.

Come ad ogni santuario, anche a questo, ritenuto il più alto d’Italia, è legato il pellegrinaggio, come forma di devozione, insita in tutti i popoli e in tutte le religioni.

Il santuario, infatti, è meta di pellegrinaggi sin dal ‘300. Attualmente è aperto ai pellegrini dalla fine di maggio alla fine di ottobre.

Per raggiungere la vetta ove è situato il Santuario si possono seguire a piedi i secolari sentieri dei pellegrini oppure si possono percorrere le strade carrozzabili da Vallo della Lucania o Rofrano.

Lungo il percorso per giungere in cima il pellegrino incontra diversi luoghi ove la devozione popolare ritiene sia apparsa la Madonna, nonché la sorgente di Fiumefreddo (conosciuta anche come Acquafredda), con l’abbeveratoio per gli animali.

Con l’auto infatti, passando per Novi Velia, si raggiunge il punto di sosta a quota 1060 metri (località Fiume freddo) dove prende inizio l’antico percorso dei pellegrini.

Proseguendo in salita, sulla strada asfaltata, dopo circa 100 metri si imbocca il sentiero in sinistra. Lo si nota subito dato che è segnalato.

Il percorso, della durata di circa due ore, è molto panoramico, ben disegnato e sale in maniera costante senza affaticare il camminatore,

La vegetazione muta piuttosto rapidamente e i castagni cedono il passo ad abeti di diverse specie. Serpeggiando nel folto del bosco, il sentiero si fa sempre più stretto e aumenta anche la pendenza, finché ricompare l’ontano napoletano e cominciano ad aprirsi radure pittoresche in cui sono gli arbusti del sottobosco a prevalere. Fra questi spiccano splendidi esemplari di corbezzolo.

Da alcuni belvedere situati lungo il tragitto è possibile ammirare il sito dell’antica Elea-Velia, e Capo Palinuro. Dopo circa 3 km il sentiero finisce sulla strada asfaltata in una curva. Si prosegue a sinistra in salita, e dopo circa 1 km si giunge ai piedi dell’area del Santuario della Madonna del Sacro Monte. L’ultimo tratto del percorso lastricato è piuttosto ripido e attraversa la vasta faggeta che circonda la cima del Monte Gelbison.

Giunti qui, si nota un grande ammasso di pietre votive, disposte a cono sovrastate da una croce.

Si prosegue sempre in salita fino alla piazza antistante la Chiesa principale (1705 mt slm), il panorama è a 360°, dal mare di Ascea e le bellezza di Velia, sino alla valle di Rofrano e il monte Cervati con i suoi 1898 mt.

Numerose sono anche le tradizioni popolari collegate al pellegrinaggio al Monte Sacro. Tra le più note si ricorda la preparazione e il trasporto al santuario delle cosiddette “cente”, ovvero insieme di ceri votivi che il pellegrinaggio porta, in dono, alla Vergine. Sono a forma di barca o di torre, a seconda del paese di provenienza e addobbati con nastri multicolori. A volte i pellegrini portano anche i “torcioni”, che sono delle grandi candele dipinte, come ceri pasquali. E’ tipico di alcuni pellegrini, per devozione, prima di entrare in chiesa, fare sette giri intorno alle sue mura, (tradizione di cui si ignora il significato).

Altri compiono in ginocchio il percorso dalla soglia all’altare, implorando la Vergine con gli appellativi più belli. Si ricorda infine che sino ai primi anni ’80 del XX secolo, era fortemente d’uso nel Cilento, giungere al santuario sul Monte Sacro al termine di un cammino a piedi che poteva durare anche qualche giorno.

Inoltre, un enorme croce di ferro, domina la cima del monte, ed è visibile da tutto il Cilento quando è illuminata.

Come per la tradizione religiosa che si rispetti, bisogna anche annoverare le numerose leggende che circolano intorno al Santuario: una riguarda la cosiddetta “Ciampa di Cavallo” situata oltre la balaustra del piazzale dinanzi al santuario del Monte Sacro.

Pare che in età longobarda, due cavalieri giunsero sulla vetta del monte e mentre uno varcò il portale della chiesa per ringraziare la Madonna, l’altro non entrò nel santuario e rimase a schernire da fuori l’altro cavaliere per questo suo gesto di “debolezza” che poco si addiceva ad un vero guerriero. Ma all’improvviso il suo cavallo s’imbizzarrì e in pochi attimi raggiunse l’orlo del precipizio adiacente la chiesa per accingersi ad effettuare un salto nel vuoto. Allora il cavaliere implorò l’aiuto della Madonna la quale gli salvò la vita facendo arrestare la cavalcatura un pezzo di roccia calcarea sporgente oltre il ciglio del precipizio. Da allora tale spuntone di roccia è denominato “ciampa (cioè zampa) di cavallo”. Da tale episodio deriverebbe l’usanza, da parte dei pellegrini, di lanciare monetine (un tempo si lanciavano sassi del suolo sacro) nel tentativo di centrare lo spuntone di roccia. Secondo la tradizione popolare, invece, se nel tentativo vi riesce una donna nubile, ella ritornerà al santuario da sposata, se invece è un anziano a centrare la roccia, egli farà ritorno al santuario l’anno successivo.

Al ritorno si ripercorre lo stesso sentiero precedentemente intrapreso, solo che questa volta lo si fa in discesa.

Tra un sentiero e l’altro è possibile ammirare le comitive di pellegrini che oramai scesi dal Monte, in festa, consumano i loro pasti cantando e suonando gli antichi strumenti di una volta. Tra le tante curiosità, Novi Velia è anche il borgo medievale che ospita nel mese di agosto il famoso “Festival degli Antichi suoni” , la rassegna di musica popolare fatta da strumenti usati una volta come le ciaramelle, zampogne, chitarre battenti e pifferi di canna , tammorre e organetti.

Discendiamo soddisfatti e consapevoli di aver vissuto un’esperienza universale che ogni uomo prima o poi dovrà affrontare nella sua vita: il viaggio che conduce alla ricerca nei luoghi a lui intorno di quel mistero profondo che infine giace sacro nella sua anima.

Si ringrazia la Cilento trail trekking di Agropoli, e cilentano.it per la preziosa collaborazione.

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