Silvio Quintieri: il Cilento nei versi di un poeta policastrese

Di Cinzia Sapienza

“La poesia, è sempre il modo più bello dell’espressione dell’animo umano”: così dichiara, nella copertina della sua raccolta “Poesie”, Silvio Quintieri.

Silvio Quintieri è un poeta policastrese che ha partecipato a diversi concorsi locali di poesia, e per chi si è dedicato alla sua lettura, si è rivelato un artista senz’altro particolare e fuori dal comune. “Poesie”, è una raccolta, per l’appunto, di componimenti poetici, da cui emerge la spiccata sensibilità umana di Silvio Quintieri. “Suadente e musicale”, come la definisce Pino Maldonato nella recensione che la apre, delicata e allo stesso tempo “forte”, la raccolta mostra un certo gusto per le cose belle e genuine: i fiori, gli alberi secolari, gli estesi silenzi marini e montani del tanto amato Golfo, i limpidi fiumi del “superbo” Cilento, ma anche il dolore di tutte le creature che soffrono, poiché – il poeta sembra suggerirci – è nel dolore che l’uomo trova la parte migliore di sé, la sua riserva di bontà e di altruismo. Quest’autore, si dimostra anche un magistrale interprete della moderna crisi dei valori, della soffocante tristezza di un mondo ordinato sopra l’idea di funzione, sopra una facile e fittizia sufficienza terrena che involge l’uomo nell’oscurità interiore e nella più disperata sterilità di ogni principio metafisico. I temi che muovono la sua ispirazione sono anche quelli dell’emigrazione della sua gente: una scottante problematica sociale che percorre sul sentiero della sua anima con un sofferto itinerario spirituale ove i fatti, i volti, i personaggi dei luoghi in cui egli vive, assumono contorni drammatici e di struggente amarezza. Basterà evocare solo alcuni dei titoli delle poesie che ha composto, come “Alla mia terra”, “L’approdo”, “Vita di borgata”, “Al golfo”, o “Il mezzogiorno”, per comprenderne l’essenza fondamentalmente nostalgica. Un pezzo che può senz’altro essere indicativo della sensibilità del poeta cilentano è “Alla mia terra”, da cui emerge la percezione di una natura cilentana “trionfante” per bellezza, ma allo stesso tempo sofferta.

 “Alla mia terra”

Cilento, terra dei miei Padri,
a te il mio canto dedico.
A te che in su l’aurora della mia vita
m’apparisti stupenda,
allorquando ignaro delle follie del mondo
correvo giulivo per i sentieri
della mia prima età.
Rideva l’azzuro, il tuo mare,
le verdi vallate inondate
dai raggi fecondi del sole.
Un cantico dolce scorreva
lungo il corso del sacro Bussento.
Che giubilo vi era, che pace
tra l’ampio fogliame di roveri,
d’ulivi contorti dal tempo!
Tutto è passato
come l’ombra fugace di una nube
vagante sopra un gorgo di spuma.
Breve è l’infanzia dell’uomo,
come i giorni d’inverno.
Ma più breve, o Cilento, fu la tua gloria
scritta sui muri degli evi
dal genio dei popoli
che lungo le vie del tuo mare di viola
incrociavano gli echi
dei loro diversi idiomi.
A me non restano che le nude parole
per narrare il tuo antico splendore:
il dolore dei fratelli che emigrano
per il pane negato a tanti bimbi;
quelle nude vestigia,
coperte di muschi e licheni,
che incupisce la più tenace speranza.

Condividi questo articolo
Exit mobile version