Una pianeta appartenuta a Francesco Maria Brancaccio rubata dal Duomo.
VERBANIA. Furto sacrilego nella chiesa di Tuscania. Dal Duomo, infatti, sono stati asportati diversi paramenti sacri, risalenti al XVII – XVIII secolo. Tra gli oggetti più preziosi rubati anche una pianeta appartenuta al cardinale Francesco Maria Brancaccio, vescovo di Capaccio, un personaggio piuttosto controverso vissuto tra il 1592 e il 1675.
Appartenente ad una nobile famiglia napoletana, il cardinale Brancaccio nacque a Canneto nei pressi di Bari, dove il padre, il barone Muzio II Brancaccio, era governatore. Studiò a Napoli presso i gesuiti e si addottorò in diritto civile e canonico, ma dopo alcuni anni di pratica legale, abbracciò la carriera ecclesiastica. Fu ordinato sacerdote nel 1619 e vescovo di Capaccio nel 1627.
In tale qualità fu coinvolto in fastidiosi conflitti di giurisdizione, nel 1629, con l’abate Angelo di SS. Trinità in Cava dei Tirreni, che, rivendicando illegalmente titolo e privilegi di ordinario di SS. Trinità, non esitò a scomunicarlo, ma fu costretto da una sentenza della Congregazione dei vescovi e regolari a una solenne sottomissione; nel 1631 con Francesco del Cavaliero vescovo di Sulmona e abate commendatario di Sant’Angelo in Fasanella nella diocesi di Capaccio. Il conflitto più grave che decise di tutta la sua carriera ebbe luogo però nel 1632. Nel marzo il governatore spagnolo di Sala, che aveva imprigionato un prete, fu ucciso da gente del vicario del Brancaccio, il quale fu citato dal viceré a Napoli, ma si sottrasse all’arresto riparando nel territorio pontificio.
E proprio a Roma dovette riparare per sfuggire alla furia degli Spagnoli, che si erano incavolati di brutto perché il governatore spagnolo di Sala, che aveva imprigionato un prete, fu ucciso da gente del vicario del Brancaccio. Lo volevano arrestare addirittura, ma lui fuggì a Roma dove durante il concistoro del 28 novembre 1633, papa Urbano VIII lo nominò cardinale. Una carriera fulminea, insomma. Che proseguì il 13 settembre 1638 con la nomina a vescovo di Viterbo e Toscanella. Fu anche tra i papabili.