Intervista all’autore cilentano Luigi Elia
L’ambientazione cittadina spesso porta ad assaporare un qualcosa di “noto” e “complicato”. Ma non sempre è così. Luigi Elia ha un’abilità strutturale che appassiona e non annoia, anche grazie alla scorrevolezza ed alla semplicità del linguaggio usato. Semplicità che emerge anche nella maggior part dei nomi usati, in toni e forme assolutamente confidenziali: Roberto, Francesco, Giulia, Sara. Anche nei cognomi è evidente l’intento di mettere a suo agio il lettore: Colonna, Cutto. Temi talvolta forti che riaffiorano su uno sfondo comune, come l’amicizia, non potevano che essere trattati a modo d’inchiesta e, per far questo, Luigi Elia si aiuta con “Moleskine”, supporto alla penna che scorre e “materiale per la mente” che arricchisce l’intero romanzo.
Luigi costruisce il suo romanzo con una “storia nella storia”, o meglio, con una “storia affiancata ad un’altra storia”. Racconti che si dipanano nel testo in modo autonomo e che sul finale convergono in un’unica narrazione.
D – Chi è Luigi Elia?
R – Luigi Elia è un ragazzo,un uomo, pateticamente semplice, ma con l’anima in fiamme. Un barbone, un randagio intellettualmente parlando. Una persona innamorata della sua passione e un po’ schiava della stessa.
D – Cosa significa scrivere un romanzo?
R – Non so bene cosa significhi scrivere un romanzo, e credo, che chiunque scriva abbia i suoi perché. Non mi sono mai posto la domanda, di conseguenza non ho una vera risposta. Ne dovessi dare una al momento direi: scrivere un romanzo significa dar pace ad un malessere interiore.
D- Quando scrivi: sei Luigi Elia o un “romanziere”?
R- Non potrei mai scindere le due cose. Quando scrivo sono Luigi che tenta di dare un senso, un ordine, ai molti pensieri che gli affollano la mente.
D- “Doxa” è il titolo del precedente lavoro. Il lavoro nasce grazie alla tua abilità di giocare con le parole. “L’ultima fenice” assume un tono più serioso, pur restando sincronizzato sul metodo della scrittura semplice e scorrevole. Cambio di stile o una nuova sperimentazione?
R- Ho sempre avuto la presunzione di voler creare un genere tutto mio. Ho sperimentato tanto, pur rimanendo fedele al mio stile. Diciamo che questa è la versione ultima del mio “Giallo Sporco”. La naturale evoluzione di un qualcosa di indefinito che ha finalmente trovato la sua forma
D- Come Shakespeare il “teatro nel teatro”, o come nella novellistica “racconto nel racconto”. Cosa ti spinge ad adottare questo tipo di tecnica narrativa?
R- Forse il bisogno di un ego di espandersi, forse la voglia di originalità. Quella mia poca attitudine ai canoni prestabiliti. Forse più semplicemente é stata un’intuizione. Me la sono cucita addosso e mi sento bene.
D- Auto-analisi: a quale lettore pensi possa indirizzarsi L’ultima fenice?
R- Essendo qualcosa di nuovo, un modo di scrivere innovativo, credo sia per una nicchia di lettori. Direi tra i14 e i 40 anni. In verità sarebbe come sempre per tutti.