Cilento, le tradizioni legate al pranzo di Natale

Cilento, il pranzo di Natale: volge al termine il nostro breve viaggio nella gastronomia tradizionale.

Di Giuseppe Conte

Cilento, il pranzo di Natale: volge al termine il nostro breve viaggio nella gastronomia tradizionale.

Con il pranzo di Natale volge al termine il nostro breve viaggio attraverso la gastronomia tradizionale che ci ha accompagnato in queste ultime domeniche d’autunno. Siamo partiti con il “tiesto” e il “tiano” con cui abbiamo preparato “lu pane cuotto”; non potevano mancare le “aulive ammaccate” e le “zuppe” ed infine le preparazioni natalizie: “scauratieddi” e “’mbuttitelle”. Oggi, invece, a pochi giorni dal Natale, pensiamo al “pranzo”.

Il pranzo di Natale veniva sempre preparato dignitosamente anche laddove le risorse di famiglia non permettevano grandi fasti. I nuclei più modesti preservavano le migliori vivande per l’occasione. E di fatto, nonostante le difficoltà, il pranzo di Natale era caratterizzato dall’abbondanza. Un’abbondanza in un certo qual modo “povera” ma al contempo “ricca”. Al banchetto natalizio si riuniva tutta la famiglia. I lavori nei campi e dell’aia si arrestavano. Nelle ultime ore della notte, invece, si erano già svolte tutte le attività che avrebbero potuto compromettere la buona riuscita della giornata.

Il ricco pranzo era anticipato già nella sera di vigilia, quando molte famiglie avevano condiviso la cena della notte: zeppole con le alici e baccalà fritto. La scelta di questi prodotti non era dettata dal caso ma da ragioni logistiche. Le alici e il baccalà potevano essere conservati e i costi erano contenuti: ecco che i sapori del mare arrivavano anche nelle tavole dell’interno.

Di buon mattino per le vie dei paesi si assaporava aria pulita, stordita dall’odore di aromatici sughi che avrebbero di li a poco condito “li maccaruni”.

Il Cilento che oggi abbraccia una vasta area, un tempo era molto più limitato. Dalla vetta del Monte Stella degradano le colline con i suoi crinali, antichi abitati e piccoli casali si spingono fino alla riva del mare. Un paesaggio vario che ha determinato differenze anche a livello culinario. È certo che il pranzo di Natale per alcuni aspetti differiva tra l’interno e la costa. Ogni territorio ha esaltato i propri frutti.

Al suono delle campane la famiglia era riunita intorno alla “buffetta”, l’immensa tavolata che accoglieva i commensali.

“Li maccaruni” aprivano il pranzo se non era previsto l’antipasto: “aulive ammaccate”, conserve e insaccati spaziavano nel centro tavola, accompagnati da pane casereccio e qualche zeppola avanzata nella cena di vigilia.

La portata principale era la pasta rigorosamente fatta in casa. Gnocchi o fusilli secondo le usanza di famiglia erano serviti in grandi piatti dai quali fuoriusciva il denso profumo del pomodoro. Talvolta si preparava con il castrato o, chi aveva avuto modo di uccidere il maiale prima del Natale, lo condiva con tutte le parti che non si sarebbero potute salare per la conservazione. Ed ecco, di conseguenza, anche il secondo. Ad affiancare quest’ultimo numerose preparazioni da contorno come “foglie e patate” o “mulegname ‘mbuttunate” ed altri secondi sempre a base di carne: non mancano gli arrosti. Il tutto garantito dall’abilità delle donne cilentane e allietato da buon vino. Il pranzo si protraeva per ora fino all’arrivo della parte più dolce: “scauratieddi”, “’mbuttitelle” e “nocchetelle”.

Non mi resta che augurarvi una buona Domenica e un serene Natale.

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