Una cilentana conquista le prime pagine dei giornali con un approfondimento sulla superstizione alimentare, scritto in occasione dell’Expo.
Si intitola “La paura del piatto” ed è un approfondimento sulle superstizioni alimentari. Il reportage, scritto dall’antropologa Emilia Fortunato, originaria di Sapri e dipendente presso l’Università Bicocca di Milano, ha trovato ampio spazio sulle riviste specializzate e anche su alcuni quotidiani di tiratura nazionale. Il servizio dal titolo “La paura è nel piatto” scritto in occasione di Expo Milano 2015, è un vero e proprio viaggio tra le superstizioni alimentari italiane.
Studi recenti dimostrano che agli italiani piace mangiare, ma anche parlare di cibo: dal 2008 al 2014 la produzione di libri di cucina è aumentata del 70 per cento, fino a sfondare ampiamente il tetto dei quattro milioni di copie stampate.
“Vi invito a gustare questo viaggio tra cibo, tradizione e superstizione, alla ricerca delle origini e caratteristiche dei tabù alimentari della nostra Penisola” afferma Fortunato. “Dalla paura di rovesciare il sale e l’olio, al divieto di capovolgere il pane, rovesciare il vino con la mano sinistra, o invitare tredici commensali, scopriremo che le scaramanzie possono avere un’origine religiosa, ma anche artistica, Leonardo docet! Proveremo – continua l’antropologa cilentana – ad offrire al lettore anche dei consigli su come scongiurare e proteggersi dai pericoli del piatto. Spero che alla fine di questo percorso antro gastronomico siate “affamati” di curiosità verso un argomento, la superstizione, da sempre controverso e oggetto di discussione. Basti pensare che secondo una ricerca del CODACONS (2013), gli italiani credono più alla magia che alla politica e 13 milioni si rivolgono ogni anno al mondo dell’occulto”.
Il Cicerone britannico Edmunde Burke, in Riflessioni sulla rivoluzione francese (1790) diceva: “La superstizione è la religione degli spiriti deboli”. Risponde il partenopeo De Filippi: “ Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male” .
Questo il testo del reportage di Emilia Fortunato
La paura nel piatto: viaggio nelle superstizioni alimentari italiane.
Italiani: “Popolo di poeti, artisti, eroi, santi, navigatori… e superstiziosi”.
Per compiere un breve viaggio nell’universo delle credenze alimentari italiane bisogna, innanzitutto, entrare nell’ottica che mangiare non è solo un bisogno naturale. Il cibo ha anche un valore simbolico; riti, scaramanzie, tabù, accompagnano la sua preparazione, conservazione e consumo.
La credenza più comune, quella più conosciuta e “rispettata” sull’intero territorio nazionale, è legata al sale: rovesciarlo sulla tavola, soprattutto di martedì, è considerato di cattivo augurio. Nel caso funesto di caduta, è necessario neutralizzarne l’effetto malefico gettandone un pizzico dietro la spalla sinistra: quella del diavolo, per accecarlo. All’origine della superstizione si pongono ragioni d’ordine pratico: il sale fu il primo condimento per il cibo che l’uomo trovò a propria disposizione, e cambiò in modo totalmente rilevante le sue abitudini alimentari. Nei secoli passati, data l’arretratezza dei mezzi di trasporto e delle tecniche d’estrazione, possederlo era segno di ricchezza. Fin dall’antichità, quindi, doveva essere custodito con la massima cura evitandone gli sprechi. Oltre ad essere prezioso, è un prodotto contrassegnato da una certa ambiguità: se nel Vangelo i discepoli di Cristo sono indicati come il “sale della vita”, nell’antichità i re vincitori cospargevano di sale le terre delle popolazioni vinte, al fine di renderle sterili e improduttive. La tradizione ha anche una matrice religiosa: durante l’Ultima Cena, Giuda avrebbe fatto cadere il sale, prima di tradire Gesù. Leonardo da Vinci, nel Cenacolo, ritrae lo stesso Giuda nell’intento di baciare Gesù, mentre fa cadere con un gomito un contenitore di sale sulla tavola. Ecco, quindi, spiegata un’altra usanza legata ai granelli bianchi: non passare mai direttamente la saliera al proprio commensale, ma posarla sul tavolo, ognuno poi la prenderà con la sua mano. Ma non è l’unico presagio di cattivo auspicio presente nell’affresco Leonardesco, difatti lo è anche il numero dei commensali, pari a 13. Trarrebbe origine dall’evento biblico, anche il divieto di stare in tredici a tavola, perché poco dopo l’Ultima Cena, Gesù fu tradito e ucciso.
L’olio ha avuto un destino simile a quello dell’alimento tanto temuto e venerato. E’ notoriamente di cattivo auspicio farlo cadere; nella religione cristiana ricorda l’estrema unzione, quindi la dipartita dal mondo terreno. Per annullarne l’effetto nefasto bisogna buttarci sopra un pugno di sale, esclamando contemporaneamente più volte: “Crepa!!!”.
Rovesciare involontariamente il vino, al contrario, è di grande augurio, perché segno di condivisione e amicizia. In particolare intingere il dito nel vino caduto sulla tovaglia. Mentre non bisogna servirlo con la mano sinistra, perché fino al Seicento quella destra (ritenuto il lato di Dio) era destinata al cibo, mentre la sinistra (ritenuto il lato del Diavolo) era riservata all’igiene intima. Era altresì proibito guardare negli occhi o nel piatto di un commensale più anziano o di casta superiore, e nel caso di un re o di un principe, era assolutamente vietato anche solo presenziare al suo pasto o al suo semplice dissetarsi; questo per due motivi: da un lato perché il mangiare e il bere erano gesti ritenuti vili e troppo umani, che hanno a che fare con gli appetiti quotidiani, che rischiano di ridurre l’origine “divina” dei regnanti per equipararli al popolo, dall’altro perché, come accade nel regno animale (ad esempio i cani, che non possono guardare il capo-branco mentre mangia), questo serviva a evidenziare le gerarchie anche a tavola.
Ci sono alimenti insospettabili nel panorama culinario: ad esempio, l’umile cetriolo. In varie regioni, infatti, si crede che indicarlo impedisca loro di crescere. Per avere, invece, un buon raccolto bisogna seminarli il Sabato Santo.
Ci sono poi divieti legati a particolari periodi della vita e fasi di passaggio. Secondo le nonne, la donna gravida può rifocillarsi per due, ma non deve mangiare frutti di mare e verdura, perché causano dolore al bambino in grembo. Non deve bere attaccandosi alla bottiglia se non vuole un figlio col labbro leporino. Bisogna, invece, esaudire i desideri alimentari della futura madre, le cosiddette ‘voglie’, anche perché è convinzione che chi non lo fa avrà presto un orzaiolo.
Altri tabù alimentari riguardano la preparazione del cibo. Tra le superstizioni legate alla produzione della birra, diffusa la credenza per cui le donne, durante il ciclo, esercitino un’influenza negativa sul lievito, mettendo a rischio la buona riuscita della fermentazione. Le donne mestruate non devono, per le stesse ragioni, montare la maionese, ma anche altre salse, conserve e paste lievitate. Si tratta di tabù antichi, risalenti al mondo greco-latino.
Una superstizione pastorale vuole, invece, che, quando si porta a regalare una ricotta, il piatto debba essere restituito non lavato, altrimenti le pecore muoiono.
Rispondono i pescatori: per avere un polpo morbido, bisogna cuocerlo con mezzo pezzo di sughero nella pentola. La credenza deriva dal fatto che, quando i pescatori catturavano i polpi e li cucinavano in grandi pentoloni al porto, li tenevano immersi nell’acqua, legati ciascuno a un filo con un turacciolo all’estremità, perché fosse facile recuperarli nel pentolone quando arrivavano i clienti.
Accanto a queste superstizioni di derivazione religiosa, ci sono quelle definite “di magia simpatica”, ovvero derivate dalle convinzioni e dall’inventiva popolare senza nessuna apparente matrice. Tra le più note c’è quella di credere d’impazzire se si mangia la testa dell’oca; oppure, invocare il demonio, se si getta il guscio intero dell’uovo, senza frantumarlo.
Numerose le tradizioni legate al principale elemento quotidiano di nutrizione: il pane. Non bisogna ad esempio metterlo a testa in giù (a rovescio) sul tavolo, perché ricorderebbe quello destinato al boia, che veniva capovolto dal panettiere perché venisse riconosciuto e quindi non toccato. Per questo era definito il “pane del boia”, ed ancora oggi il pane rovesciato si porta dietro questo triste presagio di morte. L’invito a non buttare via il pane, trarrebbe origine dalla preghiera del Padre Nostro, per cui sarebbe irrispettosotredici verso Dio gettare (e quindi rifiutare) il “pane quotidiano” che Lui ci dona. Il pane caduto a terra, va raccolto e baciato; se non è possibile mangiarlo perché sporco, non si getta via, ma si lascia come cibo per gli animali. Un’altra credenza proibisce di appoggiarlo sulla tavola dalla parte rigonfia perché, così facendo, si compiono tre peccati: si volta la faccia a Gesù, si fa cadere la Madonna dalla sedia, si fa soffrire in Purgatorio l’anima di un parente defunto.
Ci sono poi proibizioni legati a periodi dell’anno: non mangiare carne a Pasqua, se non si vuole che le proprie mani si coprano di verruche; ed evitare mele il giorno Natale (in ricordo del pomo della discordia).
Ma ci sono anche cibi o piante ben auguranti, ad esempio mangiare lenticchie a Capodanno porterebbe ricchezza, presumibilmente per la loro forma che ricorda quella di piccole monete. Benaugurati sono anche i chicchi di melograno, i datteri e l’uva (in alcune regioni si usava inghiottirne dodici acini ai rintocchi della mezzanotte del 31 dicembre); il riso lanciato agli sposi per augurare un futuro prospero; l’insalata durante la Quaresima, per avere un aumento naturale di seno. Poco importa, se la ricchezza, promessa, rimarrà un’utopia. Porta fortuna: meglio farlo e non correre rischi. Il binomio cibo-tradizioni (o cibo-superstizioni) fa parte della storia dell’Italia. Mangiando per la prima volta nella stagione una varietà di frutta ed esprimendo un desiderio, questo si avvererà a Natale. Un’antica credenza ritiene che, preparare e consumare nove pietanze durante la cena della vigilia di Natale, sia di buon auspicio.
Nella nostra rassegna di piante legate alla superstizione compaiono il fagiolo e il trifoglio, che portano fortuna, l’alloro che allontana le discordie in famiglia, l’aglio e il basilico per allontanare il malocchio, senza dimenticare il rosmarino che, a contatto con la pelle, procura allegria. Infine, per chiudere in bellezza, sembra che baciarsi sotto il vischio a Capodanno porti un’incredibile fortuna! A quanto pare l’Italia detiene il primato per il maggior numero di superstizioni, e, soprattutto, di gente che, con il passare degli anni, continuano a crederci.
E’ forte nell’uomo il desiderio di controllare il futuro, particolarmente intenso nei momenti di passaggio, ed il cibo riveste un importante ruolo oracolare e scaramantico.
Ricca di gesti corretti, legati al cibo, è la festa di San Giovanni (24 giugno). In quell’occasione è usanza mangiare le «lumache di San Giovanni» per eliminare le avversità (simbolizzate dalle corna degli animali) o raccogliere le noci (frutta portafortuna) ancora immature per preparare il «nocino».
Infine, citavamo le virtù oracolari del cibo. La crommiomanzia consiste in un oracolo d’amore, ancora in uso in certe campagne del nord Italia, secondo cui se una ragazza incide il nome dell’uomo amato su una cipolla, e se questa poi germoglia, significa che anche lui ricambia l’amore. In base alla velocità del processo si deduceva se il legame sarebbe durato tutta la vita o fosse stato solo passeggero.Se, invece, si vuole conoscere in anticipo il clima dell’anno nuovo, il giorno del 24 gennaio bisogna mettere dodici spicchi di cipolla con sopra del sale fuori dalla finestra, uno di seguito all’altro. Ognuno rappresenta un mese dell’anno entrante, e dal loro aspetto e colore, da come assorbono il sale, ecc., si dice che si possa comprendere il meteo dei rispettivi mesi.
Si scriveva su una cipolla il nome della persona e s’interrava in terreno umido. In base alla velocità del processo si deduceva se il legame sarebbe durato tutta la vita o se fosse stato passeggero. Per conoscere il proprio futuro amoroso, si utilizzano anche le fave, la sera del 31 dicembre, e l’uovo, la notte di San Giovanni.
Chiudiamo il nostro excursus con un vademecum su come comportarsi a tavola. Il galateo delle superstizioni vieta di incrociare le posate nel piatto, in ricordo della crocifissione di Gesù. Sulla tavola non bisogna posare del denaro, i bambini, le carte da gioco, le forbici, l’ago e il filo, soprattutto quando è già imbandita. Attenzione anche nello sparecchiare: la tovaglia non va mai scossa di sera, pena sciagure a catena! Se è bianca non bisogna lasciarla sul tavolo tutta la notte, perché potrebbe diventare un richiamo al lenzuolo funebre.
Se durante un brindisi, il bicchiere che si tiene in mano si rompe è certa la morte, ed è proprio per allontanare le forze del male che, secondo alcuni, è nata l’abitudine di far tintinnare i bicchieri prima del brindisi. Dicevamo che pranzare in tredici è di cattivo augurio (in ricordo dell’Ultima cena), così come lo è sedersi sopra la tavola sulla quale di solito si mangia.
Il cibo ha una funzione primaria nella vita dell’uomo, come fonte di nutrimento, ma anche momento di convivialità. L’uomo, attraverso riti scaramantici e tabù, l’ha messo al centro della propria attenzione, per scongiurare l’eventualità della sua mancanza. Nella maggior parte dei casi, si tratta di superstizioni d’origine religiosa e contadina da sempre fonte inesauribile d’ispirazione e propagazione.
Non dimentichiamo che il primo ancestrale divieto viene dal cibo, la prima violazione/paura del piatto è nata con l’uomo. Se la curiosità umana non ha e non avrà mai (si spera) fine, l’uomo continuerà a escogitare metodi per difendersi dalla caduta/paura di ciò che troverà nel piatto. Buon appetito!
Emilia Fortunato