Lo spirito dei luoghi e delle stagioni. La spiritualità della musica e delle opere d’arte.
Serate d’estate, in attesa dell’Equinozio d’autunno. Un evento di musica, arte e cultura che evoca il grande tema dei passaggi e delle trasformazioni, collocandosi concettualmente sul crinale panoramico dei luoghi delle rivoluzioni spirituali / sociali / antropologiche. Per poterle comprendere, decifrare e raccontare.
Come un equinozio, appunto, in una linea indefinita che attraversa la durata della notte e del giorno, dell’estate e dell’autunno; di luce e tenebre, vita e morte.
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“Sto bene con voi, perché qui ho trovato un’angoscia e una miseria che sono quelle della mia gente. Perché i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perché la pelle dei braccianti è scura e secca, come quella dei contadini spagnoli”, affermò negli anni Ottanta lo scultore/pittore originario della Castiglia quando traslocò in Cilento. “Lavorare in queste terre, significa osservare e imparare costantemente, per portare poi con noi qualcosa di veramente puro e genuino che valga la pena di aver assimilato. Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un’arte a contenuto rivoluzionario è una necessità”.
La sofferenza delle contraddizioni politiche e sociali, il ruolo dell’arte nella vita e nell’intelligenza del mondo, la necessità di raggiungere un punto di quiete panoramica della realtà, come di equidistanza appunto tra desiderio e fatto, sono tutta la storia di José Ortega e il profilo genetico del festival Equinozio, che gli dedica un premio [mercoledì 9 settembre verranno consegnati i riconoscimenti a Raffaello de Ruggieri, sindaco di Matera, città dove Ortega ha vissuto mimetizzato ai Sassi, e dove esiste il museo Casa Ortega; e a Gonzalo Borondo, street-artist spagnolo autore di installazioni] come atto genuino di consapevolezza del contributo umano al destino del mondo. .