Spesso le festività religiose celano più antiche usanze provenienti dal mondo pagano, ponendo una linea di continuità tra sacro e profano che diversamente non sarebbe giustificabile.
L’attribuzione di significati quasi sempre legati ad aspetti appartenenti alla cultura contadina emerge nella ricerca di elementi utili a ricostruire l’evolversi di una tradizione. Come accade anche altrove la nuova “forma d’espressione rituale” viene inglobata in laboriose leggende dai connotati assai tipici e ricorrenti in quasi tutte le ricorrenze di tal genere. Particolarmente significative sono le festività che cadono in Agosto, periodo in cui, convenzionalmente si chiudeva la stagione del raccolto.
Il culto per la Madonna ad Ostigliano è rivolto prioritariamente a Santa Maria del Rito. Le prime notizie storiche sulla sua presenza in loco compaiono sul finire del 1600, mentre le memorie locali – ormai scarne e sopraffatte dal tempo – confermano la magna devozione che la piccola comunità le ha manifestato.
La cappella. La chiesetta riconosciuta come “Madonna di Loreto”, si trova a valle, laddove il vallone che separa il paese dalle alture dell’interno si congiunge al fiume Alento. La cappella attualmente in uso è stata edificata negli anni 50′ del 900′, a poca distanza dalla struttura originaria, abbandonata negli stessi anni per l’instabilità determinata dall’erosione delle acque. La vecchia costruzione, di cui sono ancora visibili i ruderi – seppur invasi da rovi e sterpaglie – è di piccole dimensione, costituita da un unico ambiente absidato: ed è l’unica struttura adibita al culto nel territorio ostiglianese, dotata di questa caratteristica. Realizzata interamente in pietra, per secoli ha assolto alla sua funzione di meta di pellegrinaggio: al suo interno era presente l’immagine della Madonna. La nuova struttura, invece, è stata realizzata su uno spiazzo leggermente più a monte, al riparo dal fiume; l’architettura ricalca la preesistente, incluso l’abside che custodisce l’altare e la nicchia in cui è ancorata la statua della Madonna. Rispecchiando i canoni tipici delle costruzioni rurali, anche questa volta si compone di un unico spazio privo di decorazioni. Le dimensioni sono di poco superiori rispetto alla costruzione primitiva; sulla facciata principale si trova l’unico portone d’ingresso, forato con due forme romboidali. L’entrata è sormontata da una finestrella, dal timpano e da uno spazio in cui si trova la campanella a corda. Il passaggio della luce è garantito insieme alla finestrella principale, anche da due aperture a semicerchio poste sulle pareti laterali della costruzione.
Chiese rurali e processioni di campagna. Le chiese rurali e le processioni di campagna, riflettono esigenze cristiane da coniugare con la vita agro-pastorale. Nella quasi totalità dei casi, l’esistenza di edifici di culto in luoghi ameni è giustificata dall’inconscio di mantenere indissolubile e costante la presenza di Maria Madre Celeste. In tempi non molto lontani, le funzioni religiose e in particolare le novene, si tenevano alle prime luci dell’alba, al fine di consentire la partecipazione dei fedeli senza compromettere il lavoro nei campi. Di conseguenza si innesta la necessità delle processioni campestri. L’usanza di trasportare la Madonna in luoghi di campagna, scaturisce dunque dalla cultura pastorale per mantenere i rapporti con la sfera religiosa durante la transumanza o la coltivazione dei campi. Questo contesto veniva poi mascherato sotto le spoglie di una leggenda.
La ricorrenza. Fino ai primi lustri della seconda metà del secolo scorso, la festività coincideva con le terza Domenica del mese di Agosto o talvolta la quarta. La flessibilità era probabilmente necessaria per evitare la concomitanza con la ricorrenza di San Rocco, altro culto praticato in paese e in tempi più recenti per evitare la concomitanza con le celebrazioni in onore della Madonna Assunta festeggiata a Perito, giacché, le comunità cristiane dei due paesi erano state affidate ad un unico parroco. Nel corso del 900, sotto la guida spirituale del nuovo prete, si decide di postare in data fissa la ricorrenza. La scelta cade comunque nello stesso lasso di tempo, nella seconda metà di Agosto. Oltre ai giorni 15 e 16, si esclude anche il giorno 19, in cui si celebra la festa di San Giorgio a Cicerale. In tal modo i vicini ciceralesi, da sempre devoti della Madonna e legati ad essa dalla leggenda, potevano partecipare al pellegrinaggio mattutino. La data prescelta è il 18 Agosto, solennità di Sant’Elena.
L’icona della Madonna. La scultura allocata nella nicchia della cappella campestre, a primo sguardo rivela fin da subito che non si tratta affatto della Madonna di Loreto, bensì di una “generica Maria”, nata dalla mano di un maestro madonnaio commissionato per la sua realizzazione. I tratti somatici semplici e pieni, e alcuni particolari della statua nel suo complesso fanno presupporre che l’immagine rappresentata sia null’altro che una “scultura rurale” rappresentante la Madonna, tipica del vicino passato e diffusissime sopratutto nelle chiesette di campagna, note come “Madonne di pietra”. La tecnica di costruire queste statue “attaccate” al territorio è abbastanza remota. Realizzate direttamente sul posto, garantivano protezione sia logistica sia spirituale: “ancorando” la statua all’edificio se ne impediva l’asportazione in eventuali tentativi di furto, e si garantiva “protezione” al territorio dal punto di vista spirituale. Tale tecnica era poco dispendiosa e i materiali adoperati provenivano da un ambiente povero, prevalentemente gesso e scarti di lavorazione quali cocci di vasellame e resti edilizi. Grazie ad alcuni accorgimenti come l’uso di vetro per realizzare gli occhi, si conferiva vitalità all’immagine. A seguito del restauro, avvenuto negli anni scorsi, la Madonna ostiglianese ha perso parte dei tratti originali, quando appariva in tutta la sua bellezza, seppur trasudando i segni del tempo e dell’isolamento.
La leggenda. Secondo la tradizione locale, la Madonna fu rinvenuta nel greto del fiume. Altre varianti, invece, legano la sua presenza ad una apparizione. Rispettando i canoni classici delle leggende di tal genere, anche ad Ostigliano convergono i tratti più comuni delle narrazioni che spesso affiancano la storia dei luoghi. La leggenda che sopravvive nella memoria popolare calca più o meno queste parole: … l’effige della vergine venne rinvenuta nel letto del fiume … … al contempo da ostiglianesi e ciceralesi”. La notizia ben presto si diffuse nei due paesi ed assunse varianti diverse. Poiché il luogo esatto del ritrovamento ricadeva nel territorio di Ostigliano gli abitanti del luogo rivendicarono il possesso della statua, ma i ciceralesi ebbero la meglio e la portano sulla riva opposta del fiume. Si decise di costruire in loco una piccola chiesa in suo onore. Secondo le dicerie popolari si adoperarono per innalzare la cappella, procurandosi il materiale necessario: gli uomini spaccavano le pietre e le donne le trasportavano; ma al mattino seguente il mucchio non c’era più, la forza del fiume le portava sulla sponda opposta; e così per diversi giorni, finché si pensò che fu volontà della Madonna dimorare in quel di Ostigliano, ove venne eretta la chiesetta. Si noti l’assoluta somiglianza con le leggende fiorite altrove, trapuntate nei racconti orali del remoto passato. Argomentare in analogie e differenze è necessario solo per evidenziare i tratti comuni (ritrovamento, trasporto delle pietre, ecc.) e le varianti (adattamento alla località, il fiume o il mare, ecc.).
Il nome. Il culto della Madonna riconosciuta come “di Loreto” ad Ostigiliano, può essere giustificato dalla storia. Fin dal basso medioevo, la Vergine Lauretana e San Rocco, come pure Santa Sofia, e in tono minore Sant’Antonio da Padova o San Donato, erano invocati come protettori della peste. Successivamente, soprattutto dopo la nota epidemia del 1656, che colpì in modo significativo il Regno di Napoli, lo “scettro” passò con predominanza quasi assoluta al Santo da Montpellier, contagiato dal morbo nella prima metà del 1300, anni in cui l’agiografia riconduce la sua esistenza terrena. La titolazione di una chiesa alla Madonna di Loreto o uno dei Santi invocati contro la peste, era praticamente inevitabile in ogni comunità ed è evidente che Ostigliano non rimase immune. Le chiese che portavano questo titolo, quasi sempre sorgevano fuori dall’abitato, sia per ragioni igienico-sanitarie (il luogo designato per la loro elevazione, corrispondeva al posto in cui venivano sepolti i morti di peste e, non di rado, qui si auto-confinavano coloro che avevano contratto il morbo ed erano prossimi alla morte), sia per ragioni “difensive” sotto la veste spirituale (il luogo era una sorta di baluardo contro l’epidemia). Ed è questa una prima possibile spiegazione tenendo conto che il culto verso San Rocco è invece più recente e la sua cappella ad oggi esistente in origine era consacrata a Santa Sofia, entrambe figure cristiane invocate come “protettori della peste”. Volendo porre fine alla diatriba storico-leggendaria circa le origini della titolazione della Madonna ad Ostigliano, è ora necessario esporre il rovescio della medaglia, la teoria più accettabile e cioè che in realtà si tratti della Madonna “del Rito” e non della Vergine Lauretana. La maggiore valenza di quest’ultima ipotesi è anzitutto motivata dalla scultura della Madonna presente nella cappella campestre che non rispecchia affatto i tratti iconografici tipici della Madonna di Loreto. La statua della Vergine di Loreto presente nella Chiesa parrocchiale è sicuramente postuma alla devozione della Madonna in loco e non deve essere motivo d’inganno nel ricondurre forzatamente il culto locale. Pare decisamente plausibile identificare la Madonna di Ostigliano con la “Madonna del Rito”, in riferimento all’iter devozionale praticato nei confronti della Vergine Maria fin dai tempi più antichi, culto affermatosi in modo incisivo nella nostra zona dopo la venuta dei monaci basiliani. Il dubbio è sostanzialmente scioglibile motivandolo con una errata traduzione dialettale: la Madonna “di Loreto” se si traduce il vernacolo “re” (re lu rito) in “di” e “del Rito” se la traduzione opta per “del”.
La festività e i rituali. All’alba, partendo dalla Chiesa Madre, i fedeli si dispongono in processione e al suono delle campane, il corteo si avvia verso la cappella. Il tragitto è scandito dai canti tipici mariani che accompagnano la statua della Madonna fino al raggiungimento della meta. Un tempo, la massiccia devozione per la Madonna, era testimoniata dalla presenza di numerose “cente”. La strada percorsa dai pellegrini prende il via dalla parte alta del paese e raggiunta la sommità della collina, inizia la discesa verso il fiume. Il suono della campanella annuncia l’arrivo del corteo che, come da classica tradizione cilentana, esegue tre giri intorno alla cappella, intonando il canto tradizionale, prima di fare il suo ingresso in chiesa per omaggiare la Madonna. Dopo la visita alla cappella e la celebrazione della Santa Messa, il corteo si ricompone, si saluta la Madonna e s’imbocca la via che riporta all’abitato. Giunti alla parrocchiale, il corteo si scioglie e si ricompone nuovamente nel tardo pomeriggio, quando ha luogo la processione per le vie del paese.