CASTELLABATE. Tre importanti appuntamenti nel paese di Benvenuti al Sud all’insegna della cultura, tradizione e gastronomia.
Mercoledì 22 luglio 2015 ore 22:00 nella nuova Piazza Punta dell’Inferno in Santa Maria di Castellabate, Sergio Barzetti, Maestro di cucina de “La Prova del Cuoco” in onda su RaiUno, presenta il suo ultimo libro “Il Risottario”.
Ospite della serata Giovanna Voria, chef cilentana esperta di Dieta Mediterranea.
Interverranno: Costabile Spinelli, Sindaco di Castellabate – Luisa Maiuri Assessore alla Cultura – Assunta Niglio, Presidente della Pro Loco Santa Maria.
Conduce Enrico Nicoletta, responsabile Ufficio di Promozione Turistica e Culturale del Comune di Castellabate.
Un libro fondamentale non solo per gli appassionati di risotti, ma anche per i neofiti, i teorici e gli scettici, perché in quest’opera troverete le basi del risotto, dai brodi alla scelta del chicco, le ricette per servire piatti ricchi di gusto, tante idee per trasformare eventuali avanzi in appetitosi secondi e un viaggio fotografico attraverso le campagne del nord Italia, tra i produttori e la gente che si occupa di riso da generazioni.
Giovedì 23 e venerdì 24 luglio 2015, a Santa Maria di Castellabate è in programma la IV edizione de ‘A Zita cilentana, in ricordo di Arminio Tavola, noto stilista di abiti d’epoca e presidente della stessa Pro Loco, particolarmente legato a questo evento.
Si comincia il 23 luglio alle ore 21:30 con ‘A Rota, esposizione del corredo e serenata alla sposa presso Palazzo Mimmo Di Gioso, Corso Matarazzo. La serata sarà animata da alcuni componenti della Compagnia Teatrale ActorSud.
Venerdì 24 luglio ore 21:30, invece, sarà la volta de ‘A Zita: il corteo accompagnerà gli sposi da Piazza Matarazzo fino a Marina Piccola, dove sarà “celebrato” il matrimonio. La serata sarà allietata dai Donnaluna, gruppo musicale cilentano.
Un po’ di storia sul matrimonio cilentano…
Nella maggior parte dei casi, i matrimoni erano già combinati dalle famiglie e il desiderio della figlia, spesso, non contava nulla. Era completamente inutile insistere qualora il ragazzo fosse appartenuto ad una famiglia povera e, peggio, se questi fosse stato considerato uno sfaticato. Il padre voleva evitare alla figlia una vita di stenti e di rinunce e voleva assicurarle il benessere materiale. Bisognava far sposare le figlie procedendo dalla maggiore alla minore, è ma ì ra prima a pprima. Dai matrimoni combinati la donna poteva risultare danneggiata, poiché andava in sposa ad uno sconosciuto con cui avrebbe dovuto trascorrere il resto dei suoi giorni, venendo spesso maltrattata. Da ciò il detto è scappata ra lo ffuoco ppe ghì inda i cravuni.
Il corredo….’A Rota
Alla vigilia delle nozze si stimava il corredo, si apprezzava la roba. La futura sposa esponeva tutta la biancheria sul letto della madre: guanciali, lenzuola, camicie etc.. Arrivava una donna che apprezzava i capi uno per uno ad alta voce, mentre un uomo, lo scrivano, metteva tutto per iscritto. Si redigeva il capitolo o foglio o carta, in due copie, di tutti i capi d’arredo. Una copia restava a casa della sposa e una a casa dello sposo. La redazione dei capitoli aveva una sua finalità: se nei successivi dieci anni la sposa fosse morta senza lasciare eredi, il corredo tornava di diritto a casa della sposa. Dopo i dieci anni restava a casa del marito.
La cerimonia avveniva alla presenza di molti invitati e dopo l’apprezzatura ra rote venivano distribuiti a tutti dolcetti di pan di spagna. La dote veniva riposta, cunzata, dentro canestri e portata a casa dello sposo. Erano le amiche della sposa, circa venti-trenta, a fare la sfilata una dietro l’altra e, una volta giunte, preparavano il letto matrimoniale. Il corredo di una ragazza costituiva un grave onere per i genitori e per sottolineare il grave sacrificio che fanno le madri per dotare la figlia del corredo si diceva che erano pronte a mangiare la menestra senza olio, pur di procurare un lenzuolo.
La cerimonia…’A Zita
Prima di lasciare la casa natia e recarsi in chiesa, la giovane sposa doveva chiedere perdono ai genitori per eventuali dispiaceri che avesse procurato. Prima salutava il padre, s’inchinava e gli baciava la mano, lo ringraziava per averla messa al mondo. Il padre le poggiava la mano sulla testa e la benediceva. La madre, in disparte, piangeva, perché ad accompagnarla in chiesa sarebbe stato il padre e la madre sarebbe rimasta a casa. Al momento di lasciare la casa paterna salutava tutti con un canto.
La sposa arrivava davanti alla chiesa col padre seguita dallo sposo. La fede nuziale era portata dal compare d’anello che diventava anche il padrino del primo figlio. Per la prima volta, sull’altare, gli sposi si potevano dare la mano.
Gli sposi trovavano ad attenderli all’uscita delle chiesa riso, mandorle e soldi. Riso e soldi come augurio di abbondanza e ricchezza; confetti e mandorle rappresentavano la nuova condizione dello sposo che non poteva più fare con gli amici il gioco delle noci (questo gioco, tramandato fin dall’antichità romana, prevedeva l’uso delle noci al posto delle nostre biglie: si mettevano tre noci per terra e una sopra e se ne tirava una quinta sulle altre; chi buttava giù più noci vinceva; abbandonare il gioco significava entrare nella fase della maturità).
Poi la sposa si recava a casa dei nuovi parenti acquisiti con il matrimonio e li salutava.
Durante il pranzo nuziale gli amici auguravano agli sposi la felicità che consisteva nell’avere un figlio e nell’assenza del dolore.
Nel frattempo venivano portati sulla tavola i cavatielli, fusilli, con il ragù, la carne arrostita sulla brace, prosciutto, soppressate, ‘a pezza re furmaggio, formaggio di capra o di pecora, e abbondante vino. Poi iniziavano i balli al suono di tarantelle che duravano per otto sere, fino alla domenica successiva. Alla fine la sposa salutava i commensali…