Il referendum greco ha riacceso il dibattito, in realtà mai sopito, sull’importanza del voto popolare. Non credo sia inutile, quindi, una veloce riflessione proprio sulle radici della democrazia stessa, che tradizionalmente facciamo risalire all’esperienza dell’Atene del V secolo a.C. La democrazia ateniese è stato un esperimento politico unico nella storia, non dimentichiamo che è proprio dalla polis, infatti, che deriva il termine “politica”. E’ necessario chiarire, però che non basta dire demokratia (dal greco kratos “potere”, demos “popolo”) per fare paragoni tra oggi e l’Atene del V secolo. In realtà la nostra è una “democrazia indiretta”, in quanto deleghiamo il compito di rappresentarci a gruppi di persone che si occupano di politica per professione. Persone organizzate in partiti che scegliamo poichè ne condividiamo ( più o meno) fini, programmi e ideologie. Per noi “democrazia” è la facoltà di accordare col voto la nostra preferenza a chi riteniamo degno di rappresentarci in Parlamento. Quindi il nostro impegno politico è nella maggioranza dei casi esiguo. Siamo toccati marginalmente dagli impegni politici, esistendo nella realtà una abissale lontananza tra chi governa e chi è governato. Situazione completamente diversa nell’Atene del V secolo. Qui la partecipazione di un cittadino ateniese al governo della sua città era un’esperienza davvero impegnativa, in un modo che anche i nostri politici farebbero fatica a comprendere. La possiamo definire una sorta di “democrazia diretta” possibile innanzitutto perchè la polis era un territorio indipendente e molto meno vasto della maggior parte dei nostri stati nazionali. I cittadini ateniesi con diritto di voto erano solo i maschi nati liberi da padre e madre ateniese che avessero superato i 18 anni di età. A questo numero andrebbero sommati i meteci (gli stranieri), le donne, i bambini, gli schiavi che comunque non godevano di alcun diritto politico. Il cittadino ateniese trascorreva quasi l’intera giornata fuori casa occupandosi personalmente degli affari, entrava in contatto con i problemi della città, assisteva o partecipava alle assemblee, si confrontava con i propri concittadini, spesso incontrava i rappresentanti politici di persona, in un rapporto quindi molto più diretto con la gestione della polis (la politica appunto) rispetto ad oggi. Ma in realtà il cammino verso la democrazia fu lento e faticoso, non fu facile strappare il potere all’oligarchia aristocratica, le famiglie che governavano in base a diritti di nobiltà. Solone, Clistene, Efialte e Pericle sono gli uomini che hanno “costruito” quell’impianto politico oggi a noi tanto caro ma effettivamente poco attualizzato. Non che allora, per la verità, non vi fossero problemi, ecco un anonimo pamphlet erroneamente attribuito a Senofonte, opera di un oligarca che mostra con sdegno l’impossibilità di affidare un compito importantissimo come il governo della città al popolo ( a suo dire) ignorante e incapace per natura di prendere decisioni politiche: In ogni luogo sulla faccia della terra le persone migliori (aristoi) sono nemiche della democrazia: infatti, la gente per bene tende ad evitare la sfrenatezza e l’ingiustizia ed è incline alla virtù; nel popolo invece c’è il massimo di ignoranza, disordine e cattiveria: la povertà li spinge all’ignominia, così anche la mancanza di educazione e la rozzezza, che in alcuni nasce dall’indigenza.(…)In Assemblea consentono che parli anche la canaglia e dal loro punto di vista fanno bene. Se all’Assemblea partecipasse solo la gente per bene gioverebbe ai propri simili e non al popolo: ora invece può levarsi a parlare qualsiasi ceffo e proporre ciò che è utile a sé e ai suoi simili.(…) Essi capiscono che la stupidità, la ribalderia, la corruzione di costui giova a loro più che la virtù e la diffidente saggezza della gente per bene. Naturalmente una città dove si vive così non è quella ideale: però è questo il modo migliore per difendere la democrazia.