Festival Segreti d’Autore, intervista a Ruggero Cappuccio

Di Arturo Calabrese

Incontro Ruggero Cappuccio, il papà del Festival “Segreti d’Autore” in un caldo pomeriggio domenicale di inizio luglio, presso Palazzo Coppolla a Valle Cilento. Una piacevole brezza ci rinfresca durante un’amabilissima chiacchierata dalla quale non avrei mai voluto dovermi congedare.

Da cosa deriva questo Suo amore per il Cilento? Si tratta di un collegamento familiare, sia la famiglia di mia madre che quella di mio padre sono originarie del Cilento. Un antenato della famiglia Del Giudice, quella mia madre, fu nominato governatore di Agropoli. Il ramo della famiglia di mio padre, tocca Serramezzana. Oltre a questo, il Cilento ai miei occhi ha sempre rappresentato una parte del Sud, una delle più dimenticate. Nella dimenticanza si accumulano danni, ma allo stesso tempo anche vantaggi potenziali: in Italia abbiamo la speranza di conservare l’integrità di qualcosa, solo dimenticandola. Ogni intervento rappresenta una manomissione di un delicato equilibrio. Il Cilento costiero è già stato ampiamente rovinato, con costruzioni obbrobriose. La zona interna presenta ancora una ricchezza potenziale che è ancora un tesoro. Un tesoro da proteggere. Per proteggerlo devono funzionare, non solo, i vari organi istituzionali ma anche le idee. Non è un buon modo, per esempio, pubblicizzare il Cilento con l’onnipresente fenomeno delle sagre che hanno perso quella genuinità con la quale sono nate. È un tipo di iniziativa che punta allo stomaco e  quindi chiede un tipo di visitatore interessato allo stomaco. Per il Cilento, invece, ci vogliono visitatori interessati al cervello e al cuore.

Perché nasce il Festival Segreti d’Autore? Il Festival nasce dall’esigenza di creare un dialogo con gli isolati. Ci sono due modi di esserlo: quando si viene allontanato da un luogo o rimanere nel luogo in cui si vive, ma ciò che succede intorno rimane fuori. Gli isolati erano i Cilentani, coloro che avevano il desiderio, anziché di mangiare salsicce, di ascoltare un pianista o parlare con un grande scrittore. Aprire la scoperta di questi luoghi alla sostenibilità. Questi paesi sono fragilissimi, non sopportano i grandi numeri. Bisogna fare in modo che chi arriva qui, colui che porta economia, abbia motivazioni di collaborazioni e non motivazioni barbariche. Nacque a Serramezzana per un fatto di costi: lì ho una casa del ‘600 presso la quale poter ospitare gli artisti, abbattendo notevolmente i costi. Mi affascinava, infine, far nascere un prodotto molto particolare in un luogo non facilmente raggiungibile fisicamente.

Come è cambiato il Festival in questi 5 anni? Il Festival è cambiato tanto. Nacque da un atto di volontariato a Serramezzana 5 anni fa, durante un dialogo con l’allora presidente del Parco Nazionale Amilcare Troiano, dal quale si evinse la necessità di risoluzione di questi problemi. Si decise di creare un’iniziativa pilota che potesse svolgere questo discorso. Le risorse none erano sufficienti per un festival e scesero in campo le mie relazioni personali per costruire una manifestazione che avesse un’articolazione senza spendere risorse che non avevamo. Negli anni altri comuni ci hanno ospitato facendoci crescere sempre di più e dandoci la possibilità di confezionare edizioni sempre migliori. Si è creato un circuito di energia da arte di numerosi persone che hanno permesso al Festival di diventare un appuntamento fisso nell’estate cilentana. Molti sono i comuni che vorrebbero ospitarlo ma dobbiamo limitarci, perché l’allargamento ad altri comuni comporterebbe sempre nuove spese che ad oggi non possiamo sostenere.

A chi si rivolge il Festival? Questa è una domanda che ci siamo posti molte volte durante l’organizzazione. Il Festival ha una platea molto vasta: si va dall’evento che interessa una fascia d’età adulta ad un altro che coinvolge i giovani fino ai 30 anni. Il concerto per chi vuole calma e quello per chi vuole chiasso. Il laboratorio aperto a tutti, dai bimbi alle persone anziani, per arrivare al laboratorio teatrale aperto solo ai diplomati dell’Accademia. Personaggi come Franco Battiato, solo per citarne uno, raccoglie intorno tutte le fasce d’età. La risposta alla domanda è semplice: si rivolge a tutti, a tutte le fasce d’età e ad ogni ceto sociale, anche grazie all’assoluta gratuità degli eventi.

Qual è il futuro del Festival? Tutti i festival italiani soffrono l’imponderabilità degli enti pubblici italiani. Il futuro dei festival non è roseo perché gli enti non conoscono la parola “programmazione”. 10 giorni fa abbiamo saputo che la Regione Campania ci avrebbe finanziato. In 10 giorni è impossibile programmare qualcosa. L’edizione del 2014, addirittura, è stata finanziata in un primo momento con i nostri soldi, non avendo ancora avuto l’avvallo della Regione. I se sono tanti e l’ente di sicuro non aiuta. Se la Regione, o qualsiasi altro ente, finanziasse i vari eventi un anno prima, si avrebbe tutto il tempo per confezionare un prodotto ancor più degno di nota. Non solo gli enti tardano a stanziare i fondi, ma tardano anche a pagare: stiamo ancor aspettando una parte del finanziamento dello scorso anno!

In chiusura, qual è il segreto dell’autore Ruggero Cappuccio? Il segreto di un autore è una cosa complicatissima e semplicissima: la sincerità e l’unicità! Bisogna essere sinceri con sé stessi, evitando di fingere. L’autore deve scrivere di ciò che conosce, imprimendo la propria firma al prodotto. Leggendo 3 pagine di Cesare Pavese, si capisce subito che si sta leggendo Cesare Pavese, si leggono la povertà, le nocciole, le Langhe. Oggi chi scrive a Polignano a Mare, somiglia terrificantemente a chi scrive a Como. La vita è stata fin troppo omologata.

Si chiude qui una chiacchierata dalla quale esco arricchito nel cervello, nell’anima e, soprattutto, nel cuore.

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