Agropoli terra di Santi. E’ ormai storia la presenza di San Francesco in città. Il frate d’Assisi vi arrivò di ritorno dal suo viaggio in Oriente, il lunedì di Pasqua del 1222. Il fraticello non fu accolto bene dagli agropolesi che lo cacciarono via, costringendolo a predicare da uno scoglio ai pesci e agli altri animali. Altro francescano a toccare la terra cilentana fu San Daniele; più recente, invece, è la notizia che anche il medico Giuseppe Moscati, poi divenuto Santo, più volte si recò in città nella prima metà del ‘900 per far visita all’amico e collega Amedeo Di Sergio.
Meno nota, invece, è la presenza nel Cilento, e ad Agropoli in particolare, di San Paolo. Narra la leggenda che “l’apostolo dei Gentili” toccò questo territorio nel suo viaggio da Reggio a Pozzuoli (61 d.C.). A Velia fondò una diocesi, mentre a Laureana, nella località detta Santa Maria dell’Acqua (Oggi Acquasanta) convertì due fanciulle al cristianesimo. Durante il suo viaggio il santo avrebbe soggiornato anche ad Agropoli: alcuni storici sostengono vi sia arrivato via terra, altri dal mare con una nave proveniente da Roma. Anche lui come San Francesco tentò di predicare agli agropolesi ma la popolazione non lo seguì e per questo egli la maledisse. A riportare il contenuto del suo anatema il monaco agostiniano originario di Teggiano Luca Mandelli, vissuto nel ‘600: “Se ne viddero gli effetti di tal maleditione – scrive nei suoi testi il monaco – poiché da quel tempo in qua le donzelle Agropolitane giungendo all’età di dodici anni fan perdita della loro verginità, in pena dell’indredulità de’ loro antichi padri”. Lo stesso Mandelli, però, ritiene improbabile un tale gesto, giudicando una “menzogna favolosa dare quella maledizione all’incredula gente, per la quale innocenti donzelle soggiacessero a quella vergognosa pena”. Secondo il monaco, San Paolo non sarebbe mai stato ad Agropoli avendo affrontato l’intero viaggio in mare aperto e soltanto una tempesta lo avrebbe costretto a rifugiarsi tra Velia e Policastro. Altri autori, invece, sostengono la tesi contraria. In più opere della storiografia antica, però, è riporto l’anatema di Paolo di Tarso agli “agropolitani”. Alcuni addirittura s’interrogano sull’inspiegabile perdita di verginità delle fanciulle, da alcuni attribuita “alla benignità, e alle mollitie dell’aere”. Come in ogni leggenda, storia e invenzione si mescolano, è proprio per questo che la storia diventa affascinante.