Verità e metodo sul caso di Sanza

SANZA. Qualche tempo fa, i carabinieri della Compagnia di Sapri eseguono un sequestro “preventivo” di un’azienda agricola che alleva suini, a Sanza. Un sequestro disposto dal giudice per le indagini preliminari, Claudio Scorza del tribunale di Lagonegro. Ecco cosa è accaduto realmente.

Di Katiuscia Stio

SANZA – “(…) al di fuori di questa strada che passa per ogni dove, di questo trascorrere di cosa in cosa, è impossibile fare in modo che la nostra mente incontri la verità”. La verità.
La verità?
“ Non nella conoscenza sta la felicità, ma nell’acquisizione della conoscenza!”

Ho scomodato Platone e Poe per raccontarvi un fatto.

Qualche tempo fa, i carabinieri della Compagnia di Sapri eseguono un sequestro “preventivo” di un’azienda agricola che alleva suini, a Sanza. Un sequestro disposto dal giudice per le indagini preliminari, Claudio Scorza del tribunale di Lagonegro. La notizia viene diffusa dai media, a seguito di un comunicato stampa dell’Arma dei carabinieri che riporta: “(…) false certificazioni per smaltire eternit, azienda sequestrata (…)”. La notizia di reato grave viene interpretata da molti organi di informazione come: “allevavano suini tra l’amianto”. In realtà, a leggere il decreto di sequestro preventivo nulla centra l’indagine su un presunto reato, che se mai è stato consumato, è persino prescritto, in merito allo smaltimento, tra l’altro tutto da provare, di una copertura in materiale in fibrocemento nelle fondamenta dell’attuale struttura, quindi anche “tombata” dunque innocua. Da qui ne consegue che l’allevamento dei maiali in nessun modo può venire in contatto con, eventualmente presente, le fibre di amianto.
Ma la realtà oggettiva del decreto di sequestro rivela altre importanti chiarificazioni. Il magistrato evidenzia che è un altro il reato eventualmente da accertare e per il quale si dispone il sequestro preventivo. In un’ispezione del NOE, il Nucleo Ecologico dei carabinieri effettuata in data 20 febbraio 2015, si evidenzia che i due capannoni adibiti a porcilaia risultano sprovvisti del “sistema di abbattimento/trattamento degli effetti gassosi generati e delle emissioni prodotte dalle vasche di raccolta delle deiezioni animali”, giacché non risulta istallato alcun biofiltro così come invece riportato nelle relazioni tecniche presentate dal’azienda in regione Campania per le necessarie autorizzazioni. Un’autorizzazione necessaria in quanto l’allevamento costa di 1790 capi suini. Il PM quindi “ritiene che, non essendo stati istallati gli impianti suddetti per l’abbattimento delle emissioni prodotte, il titolo autorizzativo ottenuto risulta di fatto inefficace”. E’ questo il reato, eventualmente commesso, per il quale lo stesso magistrato in data 16 aprile a firmato il decreto di sequestro. Una storia quindi complicata che certo andrà chiarita nella aule di tribunale ma che nel frattempo ha creato una serie di problemi all’imprenditore in questione che ha annunciato querele a tutela della sua azienda.
Tale chiarezza andava fatta per onorare chi lavora con onestà ed impegno, rigore e responsabilità.
Un monito da Hegel, riguardo alla difficoltà del linguaggio dei filosofi, ma anche no: i testi esigono d’esser letti più volte per esser compresi.

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