Cilento, la leggenda dei munacieddi

Di Giuseppe Conte

La leggenda dei “munacieddi” è una fra le più diffuse nel Cilento: “o monaciell” è una storica conoscenza della zona partenopea, seppur ben radicata in tutto il Meridione d’Italia. È Un fascino intramontabile che continua ad essere oggetto di studi, nonostante le già note ipotesi che ne rivendicano l’origine. Si è spesso pensato di stabilizzare la sua nascita in epoche più o meno remote, ma l’attenzione delle nuove ricerche, porta a supporre origini ben più antiche.

Il nome è legato alla sua statura bassa e all’abito che indossa: un saio di colore scuro, tipico dei monaci. Ne deriva, dunque, la celebre figura del folletto forse il più amato a livello nazionale. Non è ben chiaro se la visione comune collochi questo “spiritiello” fra i personaggi benevoli o malefici; la vivacità e l’estrema simpatia con cui compare nei racconti, sono elementi che tendono a posizionarlo fra le creature miti, accompagnando la memoria popolare ormai da secoli. È un personaggio appartenente in qualche modo al burlesco, atto a suscitare il riso nonostante le sue “malfatte”. Il campo d’azione in cui agisce è quasi circoscritto: lo ritroviamo fra le mura domestiche, nelle aie e nei campi, raramente al di fuori di tali spazi. Anche i contesti in cui si inserisce sono limitati all’ambiente famigliare coinvolgendo l’intero nucleo o i singoli componenti. Non ci addentreremo ora sulle diverse varianti che rivendicano la paternità della leggenda ma ci spingeremo fin da subito nel costume cilentano.

Raccontiamo ora, alcuni episodi, osservando lo svolgersi dei fatti stilizzando in una sorta di scena teatrale l’evolversi delle storielle. Ogni paese possiede le se varianti con le sue particolarità, a grandi linee esponiamo alcune delle più note e diffuse nelle terre del Cilento.

L’ora delle zeppole. Il primo che mi viene in mente risale a diversi anni fa, e mi fu raccontato da un amica che abita alle pendici del Monte Stella, laddove ogni piccola comunità conserva le sue leggende.

La scena si svolge fra le mura domestiche e coinvolge un solo abitante della casa. La massaia dopo aver preparato l’impasto delle frittelle, passa alla fase della frittura. Ponendo le zeppole pronte nella scodella di fianco, si accorge di un continuo ammanco. Ogni nuova frittella scompare non appena la massaia si preoccupa di continuare la frittura delle altre. Perplessa si gira all’improvviso e scorge il “munaciddo” intendo a rubare le zeppole appena cotte. A questo punto, la donna, presa dallo spavento e come strategia di difesa, riversa l’olio bollente contenuto nella padella, sul povero malcapitato: lu munacieddo. La reazione dello “sfortunato” è una scomunica che rivolge alla donna.

Lu ttreppete. Una delle versioni più diffuse, ruota intorno alla “convivenza forzato con il munacieddo”: ancora una volta il munacieddo s’intrufola tra le mura domestiche e praticamente diventa parte integrante del vissuto popolare, quello legato alla memoria. È indubbiamente questo il caso che ha maggiormente contribuito alla nascita di uno spaccato molto ampio, su cui s’innestano numerose accezioni. Costituisce, dunque, la base di un gran numero di versioni.

Una famiglia di contadini, esasperati dalla presenza costante del monaciello che, puntuale all’ora dei pasti si accomoda a tavola, con altrettanta puntualità si ritrova nel letto per la notte e affianca il risveglio al mattino, decide di cambiare casa. In questo modo pensa di liberarsi definitivamente della “fissa presenza”. Al giorno del trasloco, di buon mattino, ogni componente dalla famiglia prende i suoi averi e si è pronti alla partenza: all’improvviso appare il monaciello, che gioioso, “cu nu treppete” sulle spalle esclama: <<si cambia casa!>>.

In campagna: incontri all’alba. Il mezzadro si avvia di buon mattino nei campi. È ancora buio ma la strada è ben nota. Qualche colpo di sonno, però, provoca un attimo di distrazione e l’uomo inciampa ritrovandosi a terra. Mentre si rialza si ritrova faccia a faccia con una sorta di folletto: è il monaciello! Per poter proseguire nel suo cammino senza intoppi, il malcapitato è costretto ad affrontarlo: se riesce a strappargli il cappello il gioco è fatto. L’impresa è però ardua. Per un motivo o per un altro – qui i racconti sono discordanti – il contadino riesce a proseguire ugualmente il cammino. Si racconta che, sottraendo il cappello (o meglio il cappuccio), il munacieddo viene allo scoperto e pur di non mostrarsi in volto, offre denaro o svela tesori in cambio della restituzione.

Chissà quale sarà stata la giusta soluzione, noi sappiamo con certezza che il munacieddo è una figura simpatica per le burla e i dispetti ma anche temuta per il fatto di non sapere la reale sua storia e non conoscere le sembianze del suo volto. Tuttavia continua ad allietare tante storielle cilentane.

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